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Convegno Nazionale sul Suicidio negli operatori di Polizia

Il 16 giugno scorso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha apprezzabilmente organizzato presso la Scuola Superiore di Polizia il Convegno da tempo atteso su: “Suicidio e Law Enforcement”, che ha visto la partecipazione di illustri cattedratici e ricercatori di Sapienza Università di Roma, oltre a funzionari medici e psicologici del Servizio Sanitario della Polizia di Stato.Tra gli invitati al Convegno vi era anche una delegazione di AIGESFOS.
L’evento ha permesso di affrontare in generale la tematica del suicidio nelle Forze dell’Ordine, ed in particolare di illustrare ampiamente l’andamento statistico e le caratteristiche del fenomeno nell’ambito della Polizia di Stato, oltre alle strategie di prevenzione già in atto e da implementare nello specifico contesto del Law Enforcement.
Il Convegno ha preso le mosse dall’accorata testimonianza-appello della sorella di un Ispettore della Polizia di Stato suicidatosi due anni fa, il cui testo viene riportato qui di seguito, in quanto idealmente contiene le linee programmatiche che provengono dal cuore dei superstiti di un dramma così sconvolgente, per poter sviluppare una maggiore consapevolezza su questa problematica, sulla possibilità concreta della sua prevenzione attraverso il coinvolgimento autentico di tutti gli attori: Amministrazioni, dirigenti, personale sanitario, rappresentanze degli operatori, ma soprattutto i colleghi che rappresentano le più immediate ed attente sentinelle del disagio di un loro pari, senza il cui apporto fondamentale difficilmente si faranno passi in avanti “per arrivare prima che sia troppo tardi”.

Testo integrale della testimonianza di G. D.

Buongiorno a tutti.
Prima di tutto voglio ringraziare il Capo della Polizia per avermi invitato. Sono la sorella dell’Ispettore Capo D. D., suicida all’interno del Comando della Polizia Stradale dove era in servizio.
Oggi, in questo convegno, mi sento di rappresentare la voce dei sopravvissuti, la voce di tutti coloro che sono costretti o si sentono costretti a restare nel silenzio del proprio dolore. Io sono qui per squarciare il velo, per rompere quel muro dove si celano i pregiudizi, le paure, i sensi di colpa.
Adesso vi presento D., mio fratello maggiore: la sua missione è stata la prevenzione stradale nelle scuole e la difesa personale nelle palestre incentrata sul rispetto di se stessi e della vita.  D. rappresenta il volto umano e amico della Polizia, il poliziotto dell’Esserci Sempre.
Ecco D.: 48 anni, un uomo gentile e sensibile, un padre come tanti con la passione per la buona musica.
È entrato in Polizia a 18 anni e ha messo tante volte a repentaglio la sua vita sulla strada per aiutare e salvare quella degli altri.
Aveva altri progetti nella sua vita, primo fra tutti crescere i suoi figli e i suoi piccoli alunni nelle scuole.
Ecco D. non è più un numero di statistica. D. ha deciso di premere il grilletto quando ha capito di essere solo, quando da solo nella sua “grotta”, come egli stesso descrive nella sua ultima lettera il suo ufficio, ha capito di non servire a niente, di non valere niente e che quindi sarebbe stato un peso per chi gli stava accanto.
Tutte le sue aspettative sono state disattese, credeva di poter cambiare le cose, invece, il lavoro ha cambiato lui.
È un poliziotto e come poliziotto deve tenere tutto dentro, senza esternare emozioni, come un supereroe.
“Non è presente a se stesso” gli veniva continuamente ripetuto. Non voglio dare colpe a nessuno, di certo però, anche chi denigra i sottoposti va aiutato e formato nel giusto modo per evitare di sbagliare ancora.
Quella mattina cercavano mio fratello da ore. L’ultima volta che era stato visto, si trovava a lavoro, stava male e piangeva. Aveva dato un appuntamento a un amico e al cognato, ma non si era fatto trovare.
Quando arrivai in caserma, mi guardai intorno e notai che c’era troppa confusione. Il mondo in un secondo cominciò a girarmi intorno. Mi sedetti su un muretto all’ingresso con una sensazione d’incredulità. Avevo capito. Il legame tra fratelli può essere molto forte.  Si avvicinò qualcuno: “Lei chi è?”  Io risposi soltanto “Dov’è mio fratello?” Alzai lo sguardo e incontrai quello che temevo: occhi che dicevano tutto quello che non avrei mai voluto sentire. Mi alzai, ma caddi sul marciapiedi. Non capii più niente, solo mani e braccia che mi afferravano. Volevo morire con lui in quel momento, per non sentire quel dolore dilaniante. Nessun aiuto, solo un’ambulanza, invocata da me perché quello che chiedevo era una medicina per stordirmi e non pensare più che mio fratello si era tolto la vita. Sull’ambulanza non c’era il medico, così non mi poterono aiutare. Mi chiesero di andare in ospedale, ma io non volli. Sapevo di dover esserci per affrontare un altro capitolo: i suoi figli.
Mi portano nell’ufficio di mio fratello tra le sue cose, carte, fascicoli. E’ qui che ha scritto la sua ultima lettera spiegando il suo malessere, qui in un ufficio dove i colleghi stavano vivendo la solita routine lavorativa giornaliera. Nessuno si è accorto di nulla. Videro che scriveva, questo sì. Però che stranezza oggi scrivere a lungo a penna quando ormai il mezzo più usato è il computer. Davvero strano, eppure ognuno ha continuato quello che stava facendo. Certo non potevano mai immaginare il triste epilogo.
Certamente non avrei dovuto sapere con queste modalità che mio fratello si era tolto la vita.
Certamente sarebbe stato il caso che a ricevere e a informare i parenti dell’accaduto, fosse stata una persona più preparata.
E’ stato proprio in quel momento, davanti alla caserma della Polizia Stradale che ho sentito tutto il peso, il dolore e la solitudine di mio fratello.
Lui era stato lasciato da solo, anch’io ero da sola di fronte alla sua morte.
Il dolore causato dall’estremo gesto di mio fratello è intenso, insidioso e pervasivo, tanto da avere ripercussioni violente nella mia vita.
Mio fratello non è morto per cause naturali o per un incidente, così sento sulla mia fronte come impresso lo stigma del suicidio.
Il suicidio crea stupore e imbarazzo tra la gente, quindi niente condoglianze per me, niente consolazione e supporto.
Si finge che non sia successo nulla e si tengono alla larga da noi sopravvissuti come trattassero una malattia infettiva.
E quante differenze tra i caduti: tutti uniti dalla divisa da vivi e diversi dopo la morte. Alcuni scompaiono quasi non fossero mai esistiti. A separarli i volti diversi del destino: alcuni eroi, altri taciuti, quasi fossero una vergogna da nascondere. Nelle ricorrenze vengono onorati solo i caduti in servizio e nelle vie, nelle piazze leggiamo i loro nomi mentre i poliziotti suicidi vengono nascosti per vergogna così come i loro parenti, dimenticati e abbandonati a loro stessi nella loro angoscia a vita.
Certo non sono eroi, certo non verranno ricordati come tali – e forse veramente non lo sono stati – ma meritano pari dignità e rispetto.
Non si sceglie liberamente di morire né come morire, anche se si tratta di suicidio e i poliziotti sono poliziotti sempre, almeno fino a quando onorano il loro giuramento di fedeltà.
La notte mi sveglio ancora di soprassalto pensando che no, non può essere vero. Un brutto sogno? No, è successo davvero. Mio fratello non c’è più, non c’è più… Me lo ripeto cercando di convincermi che è così e che, soprattutto, è stato lui a volerlo. Vi prego non ditemi che era pazzo o era un debole. Io sono fiera di mio fratello dall’inizio alla fine. Lui è il mio esempio di giustizia, la mia roccia, il mio fratellone.
Nulla potrà restituirmelo, ma per questa eredità di dolore che lui mi ha lasciata, non posso non pensare che tanti altri colleghi potrebbero vivere situazioni altrettanto difficili di quelle vissute da mio fratello.
Non posso non pensare che esistano poliziotti che avrebbero bisogno di aiuto.
Facciamo subito qualcosa, salviamoli, non arriviamo troppo tardi come è successo con D.
Voglio concludere con la stessa frase che usava mio fratello al termine di ogni lezione:”Tutti i problemi si possono risolvere.Basta parlarne”.
Cerchiamo, anche per i poliziotti, di “Esserci Sempre”.
Grazie per avermi ascoltato.
G.D.

Il primo libro sullo studio e la prevenzione del suicidio nelle ff.oo e del soccorso

Con questo volume l’autore ha inteso richiamare l’attenzione di quanti hanno a cuore il benessere psichico degli operatori di polizia sulla complessa e dolorosa problematica del suicidio in divisa.
Il volume rappresenta la prima opera organica che appare nel nostro Paese con l’obiettivo di affrontare a viso aperto ma pacatamente una tematica che per vari motivi assume – quando riguarda personale delle Forze di Polizia – risonanze sui generis tali da ostacolare di fatto un approccio piano e razionale al fenomeno con finalità di studio  e prevenzione.
Il testo scritto con passione, equilibrio e rigore scientifico da chi – vestendo ancora i gradi – vive e lavora da molti anni gomito a gomito con i poliziotti, è stato arricchito dal resoconto – sobrio ma al contempo  illuminante – di diversi percorsi suicidari battuti da uomini e donne in divisa.
Il tema è stato trattato utilizzando due registri e stili espositivi: quello scientifico, indispensabile per affrontare lucidamente ed equilibratamente un fenomeno così complesso, e non correre il rischio di cadere nel pressappochismo o nel riduzionismo manicheo, e quello narrativo-divulgativo, essenziale per attivare il “motore” emozionale di quanti – dentro e fuori le Forze di Polizia – nutrono interesse, sensibilità o curiosità per l’argomento.
L’opera risulta organizzata in tre parti, precedute dalla Prefazione del Prof. Roberto Tatarelli – già Professore Ordinario di Psichiatria, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria presso Sapienza Università di Roma e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale S.Andrea di Roma, dalla Presentazione della Professoressa Anna Maria Giannini – Professore Ordinario di Psicologia e Direttore del Master in Psicologia Giuridica e Forense presso Sapienza Università di Roma, dai Ringraziamenti dell’autore agli illustri accademici che hanno rappresentato il punto di riferimento scientifico ed ispirato l’architettura dell’opera, oltre che  ai valenti colleghi medici e psicologi con cui ha condiviso negli anni passati il suo impegno professionale, e dall’Introduzione che illustra il percorso genetico dell’opera.
La prima parte dal titolo: Il suicidio nello specifico ambito delle Forze di Polizia – che si apre con il Pathos in cui l’autore declina il vissuto emozionale che ha ispirato e impronta il testo, ed un Prologo: Ci vediamo nell’aria… che vede il resoconto del primo omicidio-suicidio ad opera di una donna poliziotto che trascina nell’abisso della morte anche la vita che ha generato – si compone di sei capitoli.
Il Capitolo I – Essere un poliziotto aumenta il rischio di suicidio? affronta la domanda che, a torto o ragione, viene posta in modo più ricorrente rispetto al suicidio in divisa, attraverso la disamina delle tesi a favore e sfavore circa la maggiore frequenza del fenomeno nelle Forze di Polizia. Dopo aver focalizzato alcuni aspetti di assoluta rilevanza nell’approccio metodologico al problema, vengono esaminati gli studi effettuati in Nord-America ed in Europa rinvenibili nella letteratura scientifica, e presentati i pochi dati ufficiali italiani relativi alle tre maggiori Forze di Polizia a competenza generale.
Il Capitolo II – Le teorie sul suicidio nelle Forze di Polizia illustra le teorie che vari autori, ad iniziare da Sigmund Freud, hanno proposto per individuare le dinamiche motivazionali peculiari del suicidio in divisa, ed in particolare viene esposta l’ipotesi interpretativa avanzata da John M. Violanti, uno studioso statunitense che si è particolarmente dedicato allo studio di questo fenomeno.
Il Capitolo III – L’autopsia psicologica presenta la struttura concettuale di questa metodologia attraverso l’evoluzione storica che la procedura ha avuto a partire dall’opera del suo iniziatore: Edwin S. Shneidman. Viene inoltre esposto il modello specificamente adottato dalla Polizia di Stato per realizzare la ricerca riportata nel capitolo successivo.
Il Capitolo IV – Una ricerca effettuata nelle Forze di Polizia con lo strumento dell’autopsia psicologica illustra sinteticamente i risultati di una ricerca realizzata con questa metodologia relativamente ai suicidi occorsi nella Polizia di Stato nel triennio 2003-2005, già presentata in un Seminario tenutosi a Roma nel Novembre 2008 presso la Scuola Superiore di Polizia.
Il Capitolo V – Un esempio di autopsia psicologica riporta in modo assolutamente anonimo il resoconto di un’autopsia psicologica effettuata nell’ambito della precedente ricerca per evidenziare le sue potenzialità nella focalizzazione della dinamica suicidaria.
Il Capitolo VI – Traiettorie suicidarie di uomini e donne in divisa presenta sette storie suicidarie emblematiche di operatori di polizia, anche se non esaustive, dei molteplici percorsi che possono esitare nella scelta autosoppressiva, proteggendo rispettosamente la riservatezza dei loro protagonisti e dei terzi coinvolti, con lo scopo propedeutico di disporre il lettore ad una più profonda comprensione di aspetti del fenomeno suicidario trattati in capitoli successivi.
La seconda parte dal titolo: Il suicidio nei suoi aspetti generali, che inscrive e declina il fenomeno nel più vasto ambito sociale e culturale generale,  si articola in sei capitoli.
Il Capitolo VII – Definire il suicidio illustra lo sviluppo del termine, la sua progressiva caratterizzazione concettuale nel tempo e le domande  – per cui ancora non sono state codificate risposte esaurienti – circa i limiti e l’estensione da attribuirgli.
Il Capitolo VIII – Epidemiologia del suicidio si propone di fornire un quadro dimensionale del fenomeno sia sotto il profilo dell’epidemiologia descrittiva che nella prospettiva dell’epidemiologia costruttiva. In particolare viene esaminata la situazione italiana analizzandola anche sul versante della distribuzione socio-geografica del fenomeno.
Il Capitolo IX – Comprendere il suicidio prospetta la differenza sostanziale dell’approccio “comprensivo” rispetto a quello “esplicativo”, sulla falsariga del pensiero di Karl Jaspers, focalizzandosi sul concetto di “psichache”, il tormento della psiche, proposto da Shneidman, oltre che di “hopelessness”, l’assenza di aspettative positive per il futuro, e “helplessness”, la sconsolante certezza di non poter ricevere aiuto da nessuno, sottolineati da A. Beck.
Il Capitolo X – Il percorso suicidario illustra l’escalation della spinta autosoppressiva attraverso i quattro momenti della fantasia suicidaria, dell’ideazione suicidaria, del progetto suicidario e della condotta suicidaria.
Il Capitolo XI – Spiegare il suicidio affronta il tema impegnativo delle chiavi di lettura del gesto suicidario: i paradigmi medico-psichiatrico, psicologico e sociologico, ed inoltre propone i dati derivanti dalle ricerche neurobiologiche e genetiche.
Il Capitolo XII – I fattori di rischio suicidario presenta le più importanti proposte classificatorie relative ai numerosi fattori che, embricandosi fra loro, giocano un ruolo rilevante nel determinare il soggetto alla condotta suicidaria.
La terza parte, dal titolo La prevenzione del suicidio nelle Forze di Polizia, rappresenta il cuore pulsante e propositivo del testo in quanto si proietta concretamente sulle prospettive della prevenzione primaria, secondaria e terziaria nello specifico contesto umano a cui l’opera si rivolge. A tal fine è stata arricchita di numerosi spunti “formativi” che più direttamente, insieme a quelli diffusamente disseminati nel testo, hanno l’ambizione di poter essere utilizzati da parte di professionalità adeguate come strumenti per veicolare in tutti i luoghi e momenti opportuni la progressiva attenzione ed introduzione all’argomento. Si compone di tredici capitoli, e di un Epilogo: Un giorno perfetto , in cui viene proposta la vera storia della “rinascita” di una survivor – una poliziotta a cui l’ex marito ha ucciso le due figlie prima di suicidarsi –  la cui intestazione richiama l’omonimo romanzo di Melania Mazzucco, trasposto poi in film da Ferzan Ozpeteck con lo stesso titolo, in cui viene narrata la vicenda assolutamente sovrapponibile di un poliziotto che si suicida dopo aver ucciso i due figli.
Il capitolo XIII – La prevenzione primaria definisce i confini concettuali che la caratterizzano, ed i limiti operativi che le sono propri, sottolineando peraltro l’importanza del periodo della formazione di base come momento strategico per affrontare  con i poliziotti in pectore il delicato argomento. Viene proposta, fra le altre figure professionali idonee ad affrontare i temi coinvolti, quella del “pari” e viene presentata a scopo esemplificativo la narrazione autografa dell’esperienza di servizio di uno di essi per illustrarne le potenzialità in contesti “educativi”.
Il Capitolo XIV – La formazione per sviluppare resilienza: cosa e come comunicare propone la definizione di questo termine, oltre che alcune riflessioni e spunti circa lo sviluppo di una strategia per potenziarne lo sviluppo in ambito formativo. Viene inoltre presentato il testo della lettera aperta indirizzata nel 2006 dall’allora Comandante Generale della Guardia di Finanza a tutti i finanzieri in cui si proponevano riflessioni e tracciavano linee di indirizzo per la prevenzione del suicidio nello specifico contesto.
Il Capitolo XV – Miti e realtà sul suicidio e dintorni presenta alcune convinzioni errate, diffuse sia nella società in generale che nello specifico contesto delle Forze di Polizia, che risulta essenziale correggere al fine di impedire il perpetuarsi di false credenze che, di fatto, ostacolano la possibilità di prevenzione del suicidio.
Il Capitolo XVI – Riconoscere i segnali di allarme propone un elenco certamente non esaustivo ma significativo di segnali verbali e comportamentali che possono far intuire i propositi anticonservativi del collega che sta progettando il suicidio.
Il Capitolo XVII – La prevenzione secondaria puntualizza il significato del termine traducendolo nello specifico contesto, proponendo contemporaneamente strategie ad hoc da adottare per gli operatori a rischio. Tra questi vengono individuati i soggetti con precedenti patologie psichiatriche rientrati in servizio, coloro che hanno subito eventi professionali a carattere psicotraumatico, i soggetti in preda ad una crisi emozionale, e si prospetta l’attivazione di una help-line dedicata per coloro che si trovassero a vivere un malessere che rischia di trasformarsi in uno scompenso comportamentale.
Il Capitolo XVIII – Eventi critici e stress traumatico nelle Forze di Polizia introduce il lettore nel complesso ambito degli effetti psichici causati dagli eventi critici di servizio, e per sottolinearne le gravi potenzialità patogene viene presentato un raro caso di suicidio post-traumatico messo in atto nel 1984 da un operatore di polizia alcune ore dopo aver prestato lungamente soccorso nel contesto di una strage di matrice terroristica.
Il Capitolo XIX – La sindrome del burnout nelle Forze di Polizia illustra gli elementi sintomatologici costitutivi di questo quadro conseguente a stress cronico, ne prospetta le ipotesi genetiche riferite allo specifico contesto e presenta a titolo esemplificativo il testo di un messaggio di suicidio anticipato scritto da un giovane operatore di polizia profondamente deluso dalla propria esperienza professionale.
Il Capitolo XX – La crisi emozionale definisce il significato da attribuire al termine e le sue potenzialità evolutive in ambito psico-comportamentale, presentando, attraverso lo scambio di sms occorso in limine mortis, il caso di un evento suicidario relativo ad un giovane poliziotto che si toglie la vita al culmine di una tempesta emotiva conseguente ad un evento oggettivamente non grave, ma vissuto con un profondo senso di vergogna e timore per le sue conseguenze giuridiche.
Il Capitolo XXI – La prevenzione terziaria si occupa di definire le sue limitate ma tangibili prospettive nello specifico contesto, introducendo il tema del lutto conseguente agli eventi suicidari e le prospettive di interventi volti a contenerne gli effetti.
Il Capitolo XXII – I sopravvissuti del suicidio affronta in modo sistematico la problematica dei survivor, includendo nel termine non solo i familiari e gli amici del defunto, ma anche la più stretta cerchia dei colleghi, i sanitari ed i diretti superiori,  ed illustrando gli effetti che si determinano in questi soggetti oltre che nell’ambiente lavorativo. Viene posto il problema della supervisione di stretti familiari del soggetto che si è tolto la vita eventualmente presenti nella stessa o in altre Forze di Polizia, anche alla luce dei risultati degli studi genetici sul suicidio. Viene presentato il testo di una riflessione di un survivor in divisa in seguito al suicidio di un collega per  evidenziare aspetti tipici del vissuto degli operatori di polizia rispetto a questa tipologia di eventi.
Il Capitolo XXIII – La figura del pari nelle Forze di Polizia è dedicato alla presentazione di questa figura introdotta da un decennio nel nostro Paese dalla Polizia di Stato sulla falsariga delle esperienze di altre Polizie occidentali, tracciando la storia del progetto formativo e della sua applicazione sul campo, oltre che delle potenzialità e dei confini operativi nell’ambito del supporto a colleghi in grave difficoltà emotiva. Per meglio comprendere il ruolo esercitato in contesti di natura psicotraumatica viene presentato il resoconto del primo intervento storicamente effettuato da un team di supporto integrato dalla figura del pari, a seguito di un evento di servizio occorso nel 2003.
Il Capitolo XXIV – Breviario di automutuoaiuto si propone di presentare le domande più sensibili che ruotano intorno la tematica del suicidio negli ambienti delle Forze di Polizia, offrendo delle risposte dirette e volte a fornire elementi concreti su cui indirizzare il proprio comportamento a sostegno di colleghi in difficoltà con cui si venga a contatto, sottolineando il concetto della autentica solidarietà come essenziale risorsa di rete per affrontare lo specifico fenomeno.
Il Capitolo XXV – La ricerca sul suicidio nelle Forze di Polizia evidenzia l’assoluta necessità di raccogliere sistematicamente i dati approfonditi relativi ai casi suicidari occorsi nelle varie Forze di Polizia, costituendo un Osservatorio Nazionale sul fenomeno presso il Ministero dell’Interno, traccia alcune linee guida su cui la ricerca dovrebbe indirizzarsi per rispondere a domande cruciali ai fini della prevenzione, prospetta specifiche modalità di raccolta delle informazioni, ed auspica l’iniziativa di un primo convegno nazionale sul fenomeno.
Le Conclusioni risultano il capitolo del testo più difficile da affrontare e dove l’autore cerca di proporre lucidamente alcune riflessioni cardine sul fenomeno alla luce degli studi sull’argomento e della sua specifica esperienza nel settore. Innanzitutto torna sulla querelle circa il maggiore o minore tasso suicidario negli operatori di polizia rispetto alla popolazione generale omologabile, e pur concludendo per l’impossibilità attuale di una risposta definitiva riflette sul fatto che gli operatori di polizia devono essere considerati una popolazione di lavoratori sana e selezionata, per cui tassi identici o solo relativamente inferiori rispetto alla popolazione generale omologabile dovrebbero essere considerati di fatto “tassi relativi maggiori”. Alla luce di questa considerazione propone tre elementi costitutivi della professione di poliziotto in grado di giustificare il riscontro di un plus: la disponibilità continuativa di un’arma da fuoco, il maggior rischio di subire anche a distanza di tempo gli effetti di eventi psicotraumatici e del logoramento da burnout, gli stili di gestione dello stress tipici degli operatori di polizia che spesso si rivelano inadatti ad affrontare le tempeste emozionali che le sfide della vita affettivo-relazionale propongono, sostanzialmente in linea con l’ipotesi proposta da Violanti. Viene sottolineata inoltre la non trascurabile proporzione di agiti che si declinano come suicidio-omicidio e si connotano in alcuni casi anche per la possibilità che le Istituzioni, a causa dell’operato giudicato colposo di loro appartenenti, vengano chiamate a rispondere giuridicamente di quanto avvenuto. Viene inoltre sfatato il mito dell’assoluta pervasività della matrice psichiatrica alla base del fenomeno, alla luce di considerazioni di natura teorica oltre che delle caratteristiche di questa popolazione che, come detto, si distingue in generale come sana e selezionata. Nella prospettiva della maggiore prevenzione possibile del fenomeno, il testo si chiude con il forte richiamo alla responsabilità di tutti gli attori che  interagiscono nel complesso “universo polizia”: le Istituzioni a cui i loro appartenenti fanno capo, le Organizzazioni Sindacali o assimilate che li rappresentano, le Famiglie in cui vivono, i Superiori, Colleghi e Collaboratori con cui quotidianamente lavorano, i Cappellani a cui è affidata la loro assistenza spirituale, i Medici e gli Psicologi più direttamente preposti a preservare la loro salute.

 

Felix B. Lecce, presidente di AIGESFOS-APS

Lo stress cronico: la sindrome del burnout negli operatori delle forze dell’ordine e del soccorso

“Le persone pagano un prezzo molto alto per fare da guardiani ai propri fratelli e sorelle” (Cristina Maslach).

Nelle professioni di aiuto, oltre alle competenze tecniche, è richiesto un rapporto emotivo con le persone, fattore che risulta centrale nello svolgimento dell’attività lavorativa.
In questa tipologia di professioni la pressione emozionale derivante dallo stretto contatto con la gente è una componente costante dell’attività lavorativa quotidiana. Pensiamo ad esempio a medici, vigili del fuoco, operatori di polizia, insegnanti assistenti sociali, operatori della salute mentale, ecc.
Il seguente contributo si focalizzerà sui rischi psicologico-relazionali evidenziando l’alto prezzo che può essere “pagato” dagli operatori delle Forze dell’Ordine e del Soccorso e le strategie di supporto che possono essere impiegate per affrontarli e ridurli.
Sindrome del burnout
Burnout: termine introdotto nel 1974 da Herbert J. Freudenbergen per indicare un quadro sintomatologico caratteristico di operatori di servizi comunitari particolarmente esposti a condizioni di tensione dovuta ad un rapporto diretto e continuativo con una utenza particolarmente disagiata o difficile.

Traduzione in italiano di “burnout”: scoppiato, bruciato, usurato, cortocircuitato, esaurito, fuso, cotto.

“Una sindrome di esaurimento fisico ed emotivo che porta allo sviluppo di un concetto negativo di sé, un’attitudine negativa verso il lavoro, e la perdita di empatia e di interessi nei confronti dell’utenza” (Pines, Maslach)

Le tre dimensioni costitutive della sindrome del burnout
1. l’esaurimento emotivo: la sensazione di ritrovarsi sfiniti, logorati, inariditi, svuotati delle proprie energie e risorse emotive, come conseguenza del costante sovraccarico emozionale indotto dal lavoro in stretto contatto con l’utente.

2. la depersonalizzazione: l’insieme di atteggiamenti negativi fino al cinismo maturati nei confronti delle persone a cui è indirizzata la prestazione e che danno origine all’agire freddo, meccanico e distaccato spesso manifestato dagli operatori colpiti dalla sindrome.

3. la ridotta realizzazione professionale: il declino del proprio senso di competenza e di efficacia professionale ed il prevalere di una sensazione di inadeguatezza, o meglio di una autovalutazione negativa espressa sia nei confronti di se stessi che della complessiva prestazione lavorativa espletata in favore degli utenti.

Chiave interpretativa del burnout
Alcuni autori ritengono che il burnout derivi da una mancanza di reciprocità sperimentata nelle relazioni sociali di scambio, ad un livello sia interpersonale che organizzativo.

Le Helping Professions sono professioni caratterizzate da un ruolo “genitoriale” in cui l’operatore è chiamato sempre a dare, mentre nei più comuni rapporti umani dare ed avere sono compresenti. Infatti l’umanità a cui queste professioni (poliziotti, medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, religiosi, operatori sociali) sono rivolte ed a cui sempre “dare” è quella sofferente, debole, bambina o deviante.
La mancanza di reciprocità si sperimenta quando si percepisce che le energie investite non sono proporzionali alle “ricompense” ottenute in cambio.

Le manifestazioni somatiche del burnout
o senso generale di affaticamento ed esaurimento;
o insonnia, incubi;
o disturbi gastrointestinali ed ulcera;
o mal di schiena, vulnerabilità alle infezioni;
o cefalee frequenti, palpitazioni, dispnea;
o modificazione delle abitudini alimentari in eccesso o in difetto con conseguenti cambiamenti ponderali;
o difficoltà nella sfera sessuale.

Le manifestazioni psichiche del burnout
o senso di incapacità e di impotenza, apatia;
o ansia, rigidità del pensiero, paranoia;
o ossessioni, fobie;
o persistenti sensi di colpa, depressione fino al suicidio (eccezionalmente);
o atteggiamento negativo verso se stessi, il lavoro, gli altri e la vita in generale;

Le manifestazioni comportamentali del burnout
o condotte di ritiro ed isolamento;
o incapacità di chiedere aiuto e di fruire di una rete di sostegno;
o difficoltà di concentrazione, fuga dalle responsabilità;
o irritabilità e risentimento, conflitti interpersonali ed antagonismo;
o diminuzione dei contatti con l’utenza;
o frequenti ritardi sul posto di lavoro, assenteismo;
o rendimento lavorativo ridotto;
o ricorso all’alcool, sostanze stupefacenti o farmaci psicotropi;
o divorzio, dimissioni, comportamenti violenti;
o coinvolgimento in problematiche penali, civili e disciplinari.

Conseguenze negative del burnout
Livello individuale: sofferenza fisica ed emotiva dell’operatore con riflessi negativi sull’ambiente familiare e le relazioni interpersonali intime;

Livello dell’ambiente lavorativo: contrasti interpersonali, ridotto rendimento, assenteismo, fuga dalle proprie responsabilità, danno all’immagine dell’istituzione;

Livello dell’utenza: diminuzione della qualità e quantità dei servizi fruiti, vissuti di spersonalizzazione, perdita di fiducia nelle istituzioni che erogano servizi alla persona.

Livello della società: danni economici connessi ai punti precedenti, maggiore prevalenza dei disturbi mentali e da uso di sostanze, aumento dei contenziosi legali, sfiducia verso i programmi di intervento sociale, per la salute e la sicurezza attuabili dallo Stato.

Livello di analisi del burnout
Individuale: centrato sulle caratteristiche socio-demografiche (sesso, stato civile, età, livello culturale, anzianità di servizio, ecc.) e personologiche;

Organizzativo-ambientale: indirizzato a fattori come le caratteristiche dell’utenza ed il tempo trascorso con essa, il rapporto con colleghi e superiori, le prospettive di carriera, le modalità della supervisione, le caratteristiche dell’ambiente lavorativo, i vincoli burocratici all’interno dell’organizzazione;

Socio-culturale: rivolto a caratteristiche quali il riconoscimento sociale di determinate professionalità, l’atteggiamento nei confronti degli errori attribuiti a questi operatori, la trasformazione subita da alcune istituzioni in conseguenza dei mutamenti socio-culturali, i problemi socio-economici incidenti sulle modalità di svolgimento di particolari attività lavorative.

“Soffermare l’attenzione unicamente sulla personalità degli operatori colpiti dalla sindrome sarebbe come scegliere di “analizzare la personalità dei cetrioli per scoprire perché sono diventati sottaceti, senza però analizzare il barile di aceto in cui sono stati immersi!” (Cristina Maslach)

Analogamente inopportuno sarebbe cercare dei capri espiatori in quanto “Il fenomeno è tanto diffuso, le persone colpite tanto numerose, le loro personalità e retroterra tanto vari che non ha senso identificare nei <<cattivi>> la causa di quello che è chiaramente un risultato indesiderabile”. (Cristina Maslach)

Fattori specifici che possono contribuire allo sviluppo del burnout nelle Forze dell’Ordine
1- Conflitto o ambiguità di ruolo: si determina quando un operatore di polizia percepisce una incompatibilità tra il comportamento richiesto dal proprio ruolo e le motivazioni ed i valori personali, o uno scompenso fra le richieste della situazione lavorativa e le risorse individuali. Si deve al riguardo osservare come a partire dagli anni ’80 il livello culturale degli operatori di polizia si sia notevolmente innalzato anche e soprattutto nei ruoli più propriamente esecutivi, determinando oggettivamente un divario fra livello del compito svolto e consapevolezza del proprio valore e delle ambizioni personali.

2- Conflitti con i superiori: l’aumentata dialettica con la gerarchia che si è registrata successivamente alla smilitarizzazione ed al diritto di rappresentanze sindacali può rappresentare un fattore che, attraverso le tensioni che si innescano nell’ambiente lavorativo, contribuisce all’insorgenza dell’esaurimento emotivo che per molti rappresenta la spinta iniziale per l’evolversi della sindrome.

3- Conflitti con i colleghi: derivanti dalla rivalità e dalla competizione interpersonale che si accentuano generalmente in mancanza di una leadership autorevole. Il supporto dei colleghi viceversa rappresenta un fattore protettivo nei confronti delle situazioni stressanti e dei momenti di crisi.

4- Incidenti critici: le sequele psicologiche non adeguatamente superate di eventi a forte impatto emotivo possono contribuire allo sviluppo della sindrome.

5- Mancanza di un’adeguata supervisione: il maggiore livello culturale degli operatori di polizia, la più generale tendenza all’individualismo presente nella società, l’aumentato carico di responsabilità assunto dai ruoli superiori con diminuzione del tempo a disposizione per le singole attività, il divario generazionale che man mano tende ad incrementarsi anche fra soggetti con pochi anni di distanza anagrafica, contribuiscono a “sfocare” l’importanza di un’adeguata supervisione che riveste invece un fattore protettivo nei confronti del burn-out.

6- Difficoltà nelle relazioni familiari: il rapporto fra relazioni familiari e burn-out è bidirezionale; se da una parte più alti livelli di burn-out implicano maggiori tensioni familiari, dall’altra importanti difficoltà in ambito familiare contribuiscono a generare maggiore stress e rischio di burn-out.

7- Difficoltà ad esprimere i propri sentimenti ed emozioni: molti ritengono che questo sia uno dei principali fattori responsabili dell’insorgenza del burnout. Ciò è dovuto sia a fattori culturali che vogliono il poliziotto distaccato ed imperturbabile, che alle caratteristiche del contesto organizzativo, il quale induce gli operatori a mantenere un aspetto esteriore di professionalità, anche quando si fa schermo di sentimenti ed emozioni che rimangono inespressi.

8- Limiti della formazione professionale: specialmente in passato causati da necessità di immettere rapidamente in servizio gli operatori per le pressanti esigenze di sicurezza; la formazione risente di limiti culturali del nostro paese in cui si tende ancora a privilegiare nettamente l’istruzione rispetto all’acquisizione del saper fare e del saper essere.

Ricerche sulla sindrome del burnout nelle forze dell’ordine italiane
Gli studi relativi alle forze dell’ordine italiane sono scarsi e condotti su un numero limitato di operatori di polizia. dagli stessi si possono ricavare le seguenti indicazioni di massima:
• Le donne dichiarano livelli di burnout superiori a quelli degli uomini (esse sono solamente più sincere o viceversa più a disagio?);
• Gli uomini evidenziano un maggior grado di soddisfazione lavorativa (perché impiegati in mansioni più significative o perché meno sinceri?);
• I soggetti che hanno un punteggio medio più alto nella scala del burnout sono quelli ai primi anni di servizio (ciò a causa di una tipologia di impiego più gravosa o in quanto non hanno ancora sviluppato adeguate strategie di coping?);
• Gli operatori di polizia che hanno un’anzianità di servizio tra gli 11 e 20 anni evidenziano maggiori livelli di soddisfazione lavorativa (perché più effettivamente realizzati nel lavoro o in quanto hanno attese più realistiche riguardo lo stesso?)
Le due dimensioni del burn-out e della soddisfazione lavorativa, appaiono comunque inversamente proporzionali.
• I punteggi più bassi vengono registrati nei soggetti che svolgono attività investigativa: ciò sembra confermare che il feedback positivo che si ricava dalla propria attività lavorativa rappresenta un fattore protettivo nei confronti del burn-out;
• Per quanto riguarda le variabili demografiche l’unico elemento significativo riscontrato è quello della correlazione negativa fra burn-out e numero dei figli. ciò sembra poter essere spiegato con le maggiori risorse di coping acquisite da chi è abituato a risolvere i problemi con i figli, e con la minore polarizzazione sul lavoro di chi ha una famiglia e dei figli riguardo alle attese di realizzazione personale.

Linee guida: Strategie per promuovere il benessere nelle forze dell’ordine e ridurre il rischio di burnout
• realizzare un turn-over più attento nelle attività maggiormente a rischio di burnout;
• aumentare le possibilità di progressione di carriera con un maggior ricorso al reclutamento dall’interno dell’istituzione attraverso il bando di concorsi interni;
• investire maggiori risorse nella formazione indirizzata a fornire:
o competenze adeguate per sviluppare una leadership autorevole da parte dei ruoli superiori;
o competenze adeguate di carattere relazionale per i ruoli più direttamente a contatto con l’utenza;
o conoscenze approfondite riguardo la problematica generale dello stress lavorativo, ed in particolare del burn-out, e delle strategie di coping per affrontarlo;
o consapevolezza degli aspetti conflittuali impliciti nella vita lavorativa e delle possibilità di confronto con tali situazioni;
o potenziamento delle competenze comunicative sia per quanto riguarda le relazioni interne che nei confronti dell’utenza.

Stress lavorativo e malattie cardiovascolari nel personale delle forze di polizia

Le malattie cardiovascolari, ed in particolare l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica, sono tra le infermità per le quali più frequentemente gli operatori di polizia inoltrano la domanda per la dipendenza da causa di servizio.
Nella maggior parte dei casi (circa il 90%) non è facile stabilire con certezza le reali cause all’origine della patologia ipertensiva. Sono noti alcuni fattori predisponenti, che nel loro insieme, favoriscono la comparsa della malattia, di seguito riportati:
aumentato tono del sistema nervoso simpatico
diminuita capacità del rene ad eliminare sodio
fattori genetici
fattori alimentari
condizioni di stress sociale
sedentarietà
invecchiamento.
L’ipertensione secondaria, ovvero quella forma di ipertensione che insorge come conseguenza di altre malattie, ha invece delle cause di origine ben definite. Questa patologia che rappresenta soltanto il 5-10% di tutti i casi di ipertensione può essere causata da:
malattie del rene
malattie dei grandi vasi (coartazione aorta)
malattie endocrine
farmaci (cortisonici, amine simpaticomimetiche).
L’ereditarietà o familiarità della patologia influisce per circa il 30% sulla possibilità d’insorgenza dell’ipertensione. Per questo motivo un soggetto che ha dei familiari ipertesi, avrà un maggior rischio (ma non la certezza assoluta) di sviluppare la malattia.
Nella persona anziana l’ipertensione è legata soprattutto ad un aumento della pressione massima o sistolica, mentre nella fascia di età compresa tra i 20 ed i 50-55 anni si registra solitamente un aumento sia della massima che della minima.
L’uomo ha un rischio elevato di sviluppare la malattia intorno ai 30-40 anni. Nelle donne tale rischio, inferiore prima della menopausa, arriva dopo i 45-50 anni fino al 50% per poi aumentare ulteriormente dopo i 65 anni.
La dieta ideale rivolta alla prevenzione e/o alla cura dell’ipertensione ha come obiettivi principali il calo ponderale e la restrizione di sodio ed alcol. Nello stadio iniziale della malattia, denominato pre-ipertensione, molto spesso la semplice correzione delle abitudini dietetiche è sufficiente a diminuire i valori pressori.
La ridotta attività fisica costituisce un altro importante fattore di rischio.
Il fumo di sigaretta è un potente vasocostrittore, riduce l’ossigenazione dei tessuti e facilita la formazione di placche aterosclerotiche. L’alcol, a piccole dosi ha invece un effetto benefico grazie alle sue proprietà vasodilatatrici, effetto che si inverte quando assunto a grandi dosi.
In molti casi lo stress psichico influisce a tal punto sulla comparsa dell’ipertensione da essere considerato il principale fattore causale. Tra le condizioni più a rischio vi sono: collera trattenuta, ricorrenti arrabbiature, intense emozioni, gravose responsabilità lavorative o eccessivo impegno nel lavoro.
L’esposizione cronica al rumore potrebbe avere un ruolo nell’ipertensione arteriosa, attraverso un meccanismo d’azione stress-correlato. La fisiologica e transitoria risposta di stress al rumore indotta dal sistema nervoso simpatico e dal sistema neuroendocrino diverrebbe patologica quando attivata cronicamente e ripetutamente. Così il temporaneo incremento della pressione sanguigna, diventando permanente, genererebbe una condizione di ipertensione.
Il termine cardiopatia ischemica racchiude in sé uno spettro di condizioni patologiche in cui si verifica una discrepanza tra il consumo e l’apporto di ossigeno al miocardio.
All’origine della cardiopatia ischemica possono esserci numerose patologie, tutte accomunate dal diminuire l’apporto di sangue al cuore.
Tra queste le forme più comuni di manifestazione clinica sono:
Sindromi coronariche croniche:
angina cronica stabile o da sforzo
Sindromi coronariche acute:
angina instabile
infarto miocardico
insufficienza cardiaca
morte improvvisa
ischemia silente.
La causa principale della cardiopatia ischemica è la malattia aterosclerotica a carico delle arterie coronariche.
L’aterosclerosi è una malattia degenerativa che favorisce il deposito di aggregati di grassi ed altre sostanze nella parete interna delle arterie. Tali depositi diminuiscono il lume vasale e l’elasticità delle pareti. Costretto a passare in un vaso di calibro ristretto, il sangue subisce un aumento di pressione mettendo a rischio l’integrità stessa dell’arteria.
Il restringimento, quando diventa importante, altera la normale circolazione in quanto favorisce la formazione di trombi che si possono staccare dalla placca arterosclerotica ed andare ad ostruire vasi di calibro minore. Lo stesso trombo, oltre a restringere direttamente il vaso, agisce anche indirettamente favorendo la sintesi di trombossano, un potente vasocostrittore.
All’interno delle coronarie, quando l’ostruzione raggiunge il 50%, cominciano a presentarsi problemi piuttosto seri, dato che quel vaso non è più in grado di soddisfare completamente le richieste metaboliche delle cellule irrorate.
L’ischemia locale altera il comportamento elettrico dell’intero cuore generando aritmie che possono mettere in serio pericolo l’efficienza della pompa cardiaca. Contemporaneamente il ridotto afflusso di sangue ed ossigeno diminuisce per meccanismo riflesso la forza di contrazione cardiaca, aggravando ulteriormente la situazione.
La gravità e la durata dell’ischemia determina la reversibilità o meno del danno cardiaco. Se l’ischemia perdura nel tempo, la cellula cardiaca può sopportare per circa 20-360 minuti la carenza di ossigeno e nutrienti, dopodichè muore. La necrosi cellulare viene chiamata infarto e se coinvolge un numero importante di cellule può essere fatale per l’individuo.
Una volta morte, queste cellule non riacquistano più la loro funzionalità, ma vengono sostituite da tessuto cicatriziale fibroso elettricamente e meccanicamente inerte.
L’angina è invece un ischemia miocardica transitoria con carattere di reversibilità. Si definisce stabile se si associa a sforzo fisico costante e non subisce modificazioni significative nel tempo, instabile se è di recente insorgenza, ingravescente e compare anche a riposo.
I fattori di rischio della cardiopatia ischemica sono rappresentati da:
fumo
diabete mellito
dislipidemia
ipertensione
sedentarietà
obesità
iperomocisteinemia
condizioni di stress.
Sia l’ipertensione arteriosa che la cardiopatia ischemica rappresentano dunque malattie a genesi multifattoriale, in cui entrano in gioco fattori endogeno-costituzionali (come per esempio la familiarità), ed altri ambientali.
Tra questi ultimi, come detto, in ambedue i casi, vi è il ruolo svolto dallo stress psico-fisico, con meccanismi patogenetici noti e ben descritti in letteratura. Il ruolo dello stress è molto importante perché rappresenta il fattore di gran lunga più invocato a sostegno della dipendenza da causa di servizio delle infermità cardiovascolari da parte di molte categorie di lavoratori.
L’associazione tra stress e cardiopatie è infatti molto antica: Galeno, già nel 170 d.C., nel Microtechne, affermava che “le intense emozioni possono provocare disturbi del ritmo cardiaco”.
La letteratura ha messo più volte in evidenza come determinate modalità di lavoro siano associate con un rischio elevato di sviluppare ipertensione arteriosa, che è indipendente ed additivo rispetto al rischio conferito all’aumentare dell’età.
Di contro, è pure noto come modificazioni dello stile di vita, dei regimi e dei ritmi lavorativi possano comportare notevoli benefici nel controllo della ipertensione arteriosa. Uno dei motivi che facilitano il controllo dell’ipertensione arteriosa nei pazienti ospedalizzati è infatti, per quanto attuabile, lo stato di isolamento dagli stress emotivi e ambientali. In rari casi è addirittura necessario l’abbandono di determinate attività lavorative.
Dal punto di vista fisio-patologico lo stress lavorativo può costituire un fattore di rischio cardiovascolare con meccanismi sia diretti che indiretti. I primi si riferiscono all’attivazione neuro-ormonale e neurovegetativa, in relazione ai comportamenti attivi e passivi necessari per affrontare determinati compiti ed attività, con stimolazione del sistema nervoso autonomo e aumentata secrezione neurormonale, soprattutto di catecolamine e cortisolo. Gli effetti che ne conseguono agiscono sulla pressione arteriosa, sul ritmo e sulla frequenza cardiaca, sulla circolazione periferica, sui processi emo-coagulativi, sul metabolismo glucidico e lipidico. I meccanismi indiretti sono rappresentati da modificazioni degli stili di vita (alimentazione, scarsa attività fisica, abitudine al fumo ed al consumo di bevande alcoliche), nonché dalle interferenze sul piano psico-relazionale, sia in ambito familiare che sociale.
Particolare importanza nel condizionare gli effetti sulla salute hanno le modalità di risposta (coping) più o meno adeguate che il soggetto è in grado di mettere in atto; oltre che dalla intrinseca complessità del compito, esse dipendono dalle singole capacità dell’individuo, con interferenza di numerosi fattori quali: la regolazione del sistema nervoso autonomo (a partire dal ritmo sonno/veglia), le condizioni ambientali (ad es. rumore, illuminazione, ecc.), l’assunzione di farmaci o di alcol, la presenza di malattie concomitanti, la spinta motivazionale, lo stato emotivo, ecc.
Lo stress in gioco è di tipo sub-acuto o cronico, ossia riferibile a quelle condizioni lavorative in cui vi è una prolungata e persistente situazione di mancata o ridotta possibilità di “controllo” del lavoro, condizionato da carichi di lavoro eccessivamente elevati, scarsa prevedibilità, necessità di costante attenzione, persistente presenza di pericolo e di rischio.
In termini generali, dagli studi più autorevoli emerge una relazione abbastanza chiara tra cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa e alcune condizioni di lavoro, in particolare i lavori caratterizzati da scarsa attività fisica, i compiti ad alta richiesta psichica, ma con scarsa capacità di controllo, e il lavoro a turni (con rischio che aumenta in relazione all’anzianità di turno).
In un lavoro che ha criticamente preso il rapporto tra strain lavorativo e cardiopatia ischemica, effettuato in gruppi di lavoratori maschi di diversi settori lavorativi, tra il 1983 e il 1998, si è evidenziata una associazione significativa tra attività lavorative comportanti alte richieste psicologiche, sia con la morbilità per angina pectoris che con la mortalità per infarto del miocardio. Anche in relazione alla pressione arteriosa, vi sono molte evidenze per una relazione positiva tra stress lavorativo ed ipertensione arteriosa.
Murphy, in una ricerca avente per oggetto l’associazione tra 32 diverse caratteristiche del lavoro e le condizioni di disabilità dovute a malattie cardiovascolari, ha rilevato come le quattro condizioni maggiormente associate a tali patologie siano rappresentate da:
situazioni di pericolo;
attività che richiedono alti livelli di vigilanza e di responsabilità verso gli altri;
compiti con elevati livelli di scambio di informazioni;
controllo di apparecchiature complesse.
È dimostrato come tali condizioni, ben presenti nel lavoro di un operatore di polizia, siano correlate allo stress occupazionale e costituiscano un indubbio fattore di rischio per malattie cardiovascolari, con particolare riferimento alla cardiopatia ischemica ed all’ipertensione arteriosa. Importanti studi evidenziano poi fattori di rischio aggiuntivi per la cardiopatia ischemica nel personale di polizia penitenziaria, professione particolare, a ragione delle insidiose dinamiche psicopatologiche dei contenuti di questa attività lavorativa.
Nonostante questi dati, nella quasi totalità dei casi inerenti il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’ipertensione arteriosa, il Comitato di Verifica si esprime negativamente. L’ambito giuridico di riferimento, peraltro, consentirebbe, in teoria, anche il riconoscimento dell’aggravamento di patologie preesistenti al rapporto di impiego, comprese quelle di natura endogena o addirittura congenita, sempreché se ne dimostri un più rapido aggravamento (ai sensi dell’art. 2 comma 2 del DPR 461/01).
Seppure l’appartenenza a categorie lavorative a rischio (nel caso delle malattie cardiovascolari ampiamente comprovata dalla letteratura scientifica quella dell’operatore di polizia) non possa comunque comportare il pregiudiziale riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di patologie stress-correlate come l’ipertensione arteriosa e la cardiopatia ischemica, è chiaro come l’analisi medico-legale, partendo dai contenuti ineliminabili della particolare prestazione lavorativa (costante stato di allarme, responsabilità verso terzi, pericolo per la propria incolumità, necessità di contrastare situazioni di urgenza, ecc.) debba accertare: 1) la qualità ed il quantum di questi fattori e 2) la presenza di ulteriori situazioni che possano giocare un ruolo nel determinismo della patologia (turnazioni, entità di lavoro straordinario effettuato, eventi critici di servizio, ecc.).
L’analisi della predisposizione endogeno-costituzionale, certamente importante, non deve quindi assumere il significato di elemento esclusivo per la formazione del giudizio medico-legale, soprattutto alla luce dell’ambito giuridico di riferimento, ma va confrontata con tutti gli altri fattori in gioco.

di Fabrizio Ciprani, Specialista in Medicina Legale e Medicina del Lavoro

 

Il suicidio nelle forze di polizia: come prevenire

I recenti e gravi atti suicidari registrati nelle Forze di Polizia Italiane, che in alcuni casi hanno coinvolto tragicamente anche la vita di terzi, ci spingono a fare una riflessione lucida ed equilibrata su un fenomeno così doloroso, cercando di affrontarlo in una prospettiva concreta
rivolta ad individuare gli strumenti di una possibile prevenzione, anziché ricorrere alla posticcia ricerca di capri espiatori. Innanzitutto proviamo ad avvicinarci alla realtà psicologica e sociale del fenomeno, ponendoci delle domande e cercando di dare in primis a noi stessi risposte autentiche.
L’interrogativo sulle ragioni del comportamento attraverso cui un individuo giunge a togliersi volontariamente la vita, trascinando non raramente altri nella spirale della propria morte,  è stato e rimane uno dei più grandi enigmi e delle più stimolanti sfide sia per coloro che si occupano di scienze biologiche, che per quanti si interessano di scienze umane.
La gente comune si chiede più semplicemente che cosa possa rendere l’individuo incapace di tenere sotto controllo quella che viene considerata la scelta più irrazionale che la mente umana possa decidere di compiere: sopprimere sé stessi, darsi la morte, rinunciare volontariamente al bene per eccellenza, la vita. L’estrema difficoltà che la maggior parte delle persone ha di pensare e confrontarsi con una realtà così difficile da accettare, ma al contempo assolutamente banale: la possibilità che ciascuno di noi ha di rinunciare volontariamente alla vita, è esemplificata dai numerosi eufemismi e sinonimi con cui viene appellato il suicidio.
Per la maggior  parte  delle persone, anche quando vivere non è più bello(semmai lo sia stato), è imperativo esistere ad ogni costo, accontentandosi magari di sopravvivere tra le sventure piccole e grandi che qualunque vita comporta, vuoi perché considerata virtù tipicamente umana o, forse più spesso, in quanto scelta obbligata a ragione di quella atavica angoscia che ci difende e ci fa arretrare di fronte all’ignoto, ad un aldilà ancora completamente inesplorato. Questo timore del luogo dal quale nessuno ritorna, che ha impedito a molti di noi di scegliere la morte – a causa del dolore della malattia, dell’ingiustizia della legge umana, della rabbia impotente di fronte al persecutore di turno, del rifiuto o del tradimento di chi amiamo, della colpa per ciò che non doveva essere fatto, della vergogna di fronte al pubblico ludibrio – facendoci restare aldiquà, può essere non infrequentemente superato, ed oltrepassato ad un punto tale che il deserto dell’esistere giunge a sovrastare la paura dell’ignoto, ed a farne varcare volontariamente la soglia.
Nessuno conosce così bene la concretezza di questa realtà quanto gli psichiatri, gli altri professionisti della salute mentale, il personale sanitario del soccorso pubblico e gli operatori delle Forze di Polizia. I medici tendono spesso ad evitare l’idea e l’esperienza emotiva  della morte pur essendo quest’ultima l’evento più certo e naturale dell’esistenza, ma anche il più prossimo alla loro professione. Una ragione di ciò si può trovare nei più profondi luoghi della scelta professionale dove spesso si annidano timori tanatofobici e nosofobici, con i relativi bisogni di onnipotenza e di proiezione sugli altri del male – malattia. Psichiatri e psicologi, specialmente quelli che lavorano con i pazienti più gravi, sono costretti quotidianamente a vivere con il fantasma della potenzialità suicidaria di chi hanno in cura e, spesso, si rispecchiano pericolosamente in quegli abissi di estrema sofferenza.
Ma anche le ragioni della scelta professionale dell’operatore di polizia possono essere complesse, ed a volte difficilmente permeabili all’esterno oltre che da egli stesso traducibili. La sete di individuazione e di superiorità; l’illusione di poter controllare la realtà, compresa quella intrapersonale; il bisogno di separare nettamente il bene dal male perpetrabile dall’uomo, per porre il negativo fuori da sé; il sogno di viversi come paladini della vita e del benessere altrui – interpretando una mitologia eroica  che  al passo dei tempi si aggiorna nelle sembianze pur rimanendo immutato il bisogno di alterità che la sottende –  possono trovare appagamento e realizzazione attraverso il ruolo di difensore della Legge: tutto questo appare estremamente rassicurante, oltre che affascinante.
Questo soggetto che deve fornire agli altri sicurezza non può, per definizione, che essere estremamente sicuro di sé, e cosa c’è di maggiormente ansiogeno dell’essere umano che attenta alla propria vita? Ansiogeno certamente per la gente comune, ma ancora di più per i suoi più diretti simili quando si tratta di operatori di polizia, perché ne fa vacillare il sentimento più o meno autentico, ma  indispensabile, di sicurezza.
E le stesse Istituzioni di cui essi sono parte tremano perché all’interno del mito, certamente in affanno ma mai messo in discussione, di essere una “famiglia”, sentono più o meno confusamente il dovere di proteggere i propri figli prima di quelli degli altri – non fosse altro per il fatto che i primi dovrebbero tutelare i secondi – e di fronte al suicidio di uno di loro si confrontano con il senso di colpa e di vergogna per non essere riusciti ad adempiere al loro primo mandato.
Noi riteniamo che questi ultimi sentimenti rappresentino l’elemento fondamentale che fino ad oggi ha determinato nel nostro Paese quella sorta di ritroso pudore rispetto all’argomento suicidio nelle Forze di Polizia che si registra al loro interno.
E poi, come succede in qualsiasi famiglia quando un figlio esce dal “seminato”, ci si interroga se sia il caso di parlarne  – visto che le altre non esternano simili difficoltà – e si rimane nel dubbio se ciò sia dovuto alla buona salute dei loro membri, o alla difficoltà ad ammetterne il malessere.
Ma con la Società intera che in questi ultimi anni è cambiata, e dove sono mutate le stesse fondamenta delle Istituzioni che si confrontano con cittadini ormai divenuti maggiorenni, non può non trasformarsi anche il rapporto tra le Forze di Polizia ed i loro “appartenenti”. Essi devono essere considerati e considerarsi non più figli minorenni per i quali il genitore assume di sé ogni incombenza, ma prole adulta e responsabile – innanzitutto di sé stessa – su cui semmai esercitare una matura supervisione.
Se entriamo in questo nuovo paradigma, anche le nebbie del senso di colpa irrazionale tenderanno a dileguarsi permettendo di guardare una realtà su cui tentare di agire concretamente, senza la semplicistica illusione di poterla dominare e la successiva, inevitabile, delusione del fallimento.
Pertanto riteniamo necessario muoversi in tale direzione, senza l’enfasi delle emozioni momentanee ed il clamore, ancor più effimero, di tanti notiziari che accompagnano i funerali degli operatori di polizia suicidi e, meno che mai, dell’assordante rumore del silenzio.
Il primo passo per individuare migliori strategie di prevenzione del suicidio nelle Forze di Polizia non può che essere quello di abbattere lo stigma che circonda il fenomeno, iniziando a percorrere le seguenti tappe:
1) Costituzione di un Osservatorio Nazionale presso il Ministero dell’Interno a cui debbono affluire tutti i dati relativi ai suicidi ed a i tentati suicidi occorsi nelle Forze di Polizia a competenza territoriale sia generale che locale;
2) Organizzazione di un Convegno Nazionale sul suicidio nelle Forze di Polizia riservato agli addetti ai lavori, al fine di predisporre un algoritmo unico per la rilevazione di tali eventi, in modo da raccogliere dati omologabili, tali da risultare idonei a sviluppare concrete strategie preventive, oltre che permettere la definizione di un primo quadro complessivo del fenomeno;
3) Previsione, nella formazione di base di tutti gli operatori di Polizia, di un modulo specificamente indirizzato all’informazione sul fenomeno; alla sensibilizzazione circa i segnali di sofferenza mentale, potenzialmente sintomatici di una progettualità autolesiva; alla demitizzazione circa l’ineluttabilità della riforma dal servizio per coloro che evidenziassero problematiche della sfera psichica, stimolando un rapporto collaborativo e reciprocamente fiducioso fra il personale e le figure professionali presenti nelle singole istituzioni di appartenenza deputate alla tutela della salute degli operatori;
4) Promozione di iniziative istituzionali ed extra-istituzionali volte a destigmatizzare il disagio ed il disturbo mentale nelle Forze di Polizia, attraverso la presa di consapevolezza della potenziale vulnerabilità di ciascuno di noi di fronte alla sofferenza psichica, delle ottime prospettive di cura e di recupero per la gran parte delle patologie mentali, la evoluzione culturale e delle prassi operative di competenza dei Sanitari delle Forze di Polizia, l’attivazione di progetti di automutuoaiuto dedicati.

Luigi Lucchetti, Presidente AIGESFOS e Felix B. Lecce, Vice presidente AIGESFOS

 

Crypto Exchange Where & How to Buy Bitcoin

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Cathie Wood’s ARK reportedly ‘first in line’ for a spot Bitcoin ETF – Cointelegraph

Cathie Wood’s ARK reportedly ‘first in line’ for a spot Bitcoin ETF.

Posted: Tue, 27 Jun 2023 12:22:30 GMT [source]

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What is Cost Concept? All Different Types of Costs

cost concept

When it comes to objectivity, the concept by contrast provides provides a relatively objective foundation for non-monetary asset accounting. The concept leads to much more feasible system of accounting for non monetary assets. The concept as it is applied to non-monetary assets provides an excellent illustration of the problem of applying three basic criterion. These criterion is used to judge the acceptability of the accounting principle – relevance objectivity and feasibility. An example of a contribution margin income statement is presented in Exhibit 1-8 and discussed in Video Illustration 1-6. For the highest or lowest observation (both will result in the same number), use the variable cost from step 2 to calculate the fixed component.

cost concept

These costs are created decisions made in the past that cannot be changed by any decision that will be made in the future. Written down values of any asset previously purchased are an example of sunk costs. An indirect cost is a cost that cannot be identified with specific segments of operations. Furthermore, various cost concepts and measurement techniques are needed for internal planning and control.

Fixed and Variable Costs

This is because, for these assets, their present values are practically identical to their acquisition cost. Any assets that are realized within cost concept a short time do not suffer from this problem. Accordingly, recording assets at acquisition cost meets the convention of objectivity.

cost concept

This plot of land will be recorded in the books of account at the price paid to acquire it. Now suppose in 2017, the market value of the land rises to 12,00,000. But the land will be recorded in the books of account at Rs. 10,00,000.

Indirect costs

Moreover, the present value of assets constantly undergoes change, meaning that if we were to record assets based on their present value, they would need to be updated practically every day. The primary one, of course, is that most people cannot agree on what an asset’s present value is, whereas the price paid as the asset’s acquisition cost is beyond dispute (in most cases). The legislation extends current-level funding for some federal agencies through March 1, and others through March 8. The government has been operating under a short-term funding extension passed in November, and this was the third stopgap measure Congress has passed since September. Consumers Unified, LLC does not take loan or mortgage applications or make credit decisions.

  • This plot of land will be recorded in the books of account at the price paid to acquire it.
  • Common activity drivers are units of sales, units of production, direct labor hours worked, or machine hours used.
  • Expenses on the purchase of raw material and payment of wages are examples of variable costs.
  • Determine the cost classifications and cost behavior for the below costs.

It should be remembered that every producer is interested in money costs. Besides money cost there are other costs that are equally important to take decisions on various matters. Fixed costs are those which do not change with the volume of output.

Concept of Costs

Inventory, raw materials, and employee wages for factory workers are all examples of direct costs. Cost and output analysis is related to the production function, prices of factors of production etc. While in long period all factors of production remains variable, therefore cost is variable only. On a traditional income statement, costs are classified as product or period. A traditional income statement is primarily used for financial reporting purposes. A traditional income statement, reports an organization’s revenue and expenses for a specified period of time.

Quarterback Baker Mayfield is playing at a high level right now, evidenced by his 337 yards and three touchdowns without an interception against the Eagles last week. Homework questions can be used for additional practice or can be assigned in an academic setting. Homework questions can be assigned, with auto-grading and export, to specific learning management platforms, e.g., Canvas, Blackboard, etc. Magick Musicals sells custom guitars that they purchase from a local artist.

20 Home Office Organizing Ideas

A summerhouse or shoffice (shed office) in the garden could potentially be converted into a working space. You might prefer the view that comes with working in the garden, or there might be plenty of natural light. It can also create the feeling of ‘going to work’, which some people like. Below, we’re sharing some home office design ideas to inspire you when it’s time to decorate. We’ve also got details on where to set up your office, plus tips on kitting it out with essential tech. You can stack them up to create as much storage space as you need.

The investment is worth it, and your work area will look generally better without all the wrapping cables and cords all over the place. Charging stations are also another excellent solution for getting rid of the power cord clutter. If none of these is an option, consider wrapping the cables and tucking them out of the way. However, you should take care of your workspace just like any other space in your home. Take the time to wipe your desk, sweep the floor, and sanitize your office equipment.

Easily Find What You Need With Clear Plastic Bins

We love this wheeled file cabinet that can fit under your desk when not in use. Wall space can play an important roll in keeping your office tidy and your systems streamlined. We love this Perch Magnetic Modular System because of its sleek modern design and its versatility. Mount the magnetic plates to your wall and then attach any combination of containers to fit your needs.

Attaching wrapping paper to the back of a bookshelf is an easy way to add personality and fun. Use a combination of open shelving + pretty bins to store your office items. If you’re home office tips looking to overhaul your kitchen, IKEA SEKTION cabinets have tons of built-in organizing features. Declutter the kitchen cabinets step by step with our free decluttering guide.

Keep your workspace clean and tidy

If what you’re looking at is several years’ worth of accumulated dust, you can use this opportunity to clean your desk and vacuum under it. The simplest ideas are often the best ideas, don’t over complicate something that doesn’t need to be complicated. You have to find ways to make your home office work and that is as simple as creating rules for when things come into your home. You have to know what to do with them, this is the most crucial part of organizing, putting into place something that keeps the system alive and happening.

Investing in Electric Vehicles Top 12 EV Stocks in 2022

best ev stocks 2022

Its share price is down 44% on the year and trades at just $11.70. The shares have a rock-bottom price-earnings ratio of only 5.53, and its shareholders get a dividend that yields 4.9%. The company has even restructured itself https://trading-market.org/ in order to separate its gasoline-powered automobiles from its newer electric vehicle unit. While lithium prices have cooled off in recent months, the demand for the commodity isn’t expected to wane for many years to come.

10 Best EV Charging Stocks to Buy Now – Yahoo Finance

10 Best EV Charging Stocks to Buy Now.

Posted: Wed, 14 Dec 2022 08:00:00 GMT [source]

There is some concern by investors that the new L8 launching in Q4 will take away sales from the L9. However, this isn’t warranted because the value proposition for the two vehicles is entirely different. The L8 is a scaled-down, smaller and less expensive version of the L9 SUV. Hyundai Motor (HYMTF, $35.00) has a couple of EV hits on its hands with the Hyundai Ioniq 5 and Kia EV6.

Lordstown Motors (NASDAQ: RIDE)

Allocating a portion of your portfolio to EV stocks is one way to help boost the zero-emissions vehicle transition and potentially bolster your returns. Hyliion (HYLN) is developing electric powertrains for big-rig trucks. Romeo Power (RMO) makes battery packs for commercial EV fleets. Companies with two characteristics generally make the best candidates for stocks to buy and watch, according to CAN SLIM guidelines. Second, they should be technically strong and be shaping bullish chart patterns.

In spite of the company’s promising future, shares have fallen 11% since the beginning of the year and 68% over the past year. Naming recent improvements in supply chains and industrywide sales, Ford reaffirmed its guidance for 2023 in its first-quarter earnings release on May 2. Revenues were up 20% for the quarter, thanks to a 9% increase in vehicle shipments.

Ryan Reynolds Made $300 Million on Mint Mobile — Should You Go All In on His Latest Fintech Investment?

Nio’s EV sales rebounded strongly in February, signaling a positive turnaround after supply chain issues. The company is confident about doubling sales this year, citing new EV models, a robust charging network, and self-driving technology. With annual deliveries skyrocketing from 11,348 to 122,486 vehicles, their compound annual growth rate (CAGR) reached an impressive 81%. Similarly, their annual revenue demonstrated a CAGR of 74% during that period.

We go over five names that appear well-positioned to benefit from this trend. Not only is Nio’s latest EV, the ES7 SUV, a much-anticipated release promised at the end of August, but Nio is also becoming a global leader in battery swapping technology. The company operates more than 900 https://forex-world.net/ swap stations across China and plans to launch more throughout Europe as well. The stock is also benefiting from the reopening of trade in China as COVID restrictions are being lifted. Nio, along with its investment firm Nio Capital, has made significant investments in Neo Fusion.

Traditional automakers making EVs

Electric vehicle technology is also constantly evolving, and those making EVs now could be left in the dust by the ones that develop better battery technology or autonomous-driving features. For example, it was able to delay the installation of Level 3 electric vehicle (EV) chargers in Canada without significantly https://investmentsanalysis.info/ hurting its financials. This penny stock could be worth looking into for its ability to lead a niche EV market and the high demand for its products across industries. The app also provides real-time portfolio, market, and research information, which can be customized to fit the user’s needs.

  • With the global EV market expected to grow at an accelerated CAGR of 18.2% through 2030, there will be a massive TAM for ChargePoint to gradually capture.
  • An opening $142 million, including a 3.7% stake in Aston Martin, cemented the agreement.
  • The Chinese government has also announced a range of subsidies which range between $689 and $1,800 per vehicle.
  • With 30,000 charging station locations, ChargePoint is the largest and most open electric vehicle charging network in the world.
  • According to S&P Global Market Intelligence, Hyundai Mobis is the largest shareholder, with a 20.7% stake.

The table below shows the 15 best-performing members of the Solactive Electric Vehicles and Future Mobility Index that are also traded on major U.S. exchanges. Many or all of the products featured here are from our partners who compensate us. This influences which products we write about and where and how the product appears on a page. The company designs, manufactures and markets test and burn-in products to the semiconductor manufacturing industry.

Best EV Stocks To Buy Now in 2023: Top Electric Car Companies To Invest In

Like Tesla, Rivian stock has crashed since peaking in late 2021, with the company’s shares falling by roughly 80% from their highs. The company’s market cap is now about $26 billion, which is quite the drop. However, the company isn’t consistently profitable, so conservative investors will likely still view that number as wildly optimistic.

EV stocks join AI names in leading the stock market rally – AOL

EV stocks join AI names in leading the stock market rally.

Posted: Wed, 14 Jun 2023 07:00:00 GMT [source]

You can argue the benefits of one EV over another, but what all of these vehicle models have in common is that they require constant charging. Sure, some vehicles have better battery spans than others, but you can’t really go on a long trip without charging your EV. ON Semiconductor Corporation does not produce EVs, but it does produce a range of power control and image-sensing chips that are essential components for EVs.

What’s special about the Top Electric Vehicle companies?

While it still ended up with a net loss after factoring expenses, it’s no wonder why investors were keen to offer the company more capital to expand. According to S&P Global Market Intelligence, lithium-ion battery packs cost US$156 per kilowatt hour (kWh) in 2019. At US$100 per kWh, most experts believe EVs will reach cost parity with petrol and diesel vehicles. While some battery packs are below US$100 already, the key here is the average, and BloombergNEF estimates this will be achieved in 2024. While Tesla’s share price has fallen severely from its peak of US$407 in late-2021, its income generation ability has actually grown stronger in 2022, more than doubling total net income in 2021. Similar, basic earnings per share in 2022 ended at $4.02, compared to just $1.87 in 2021.

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Alcoholic Dementia: Symptoms, Causes, and Treatment

Dr. Moawad regularly writes and edits health and career content for medical books and publications. Memory and decision-making are also severely affected, which means that people living with this condition need help from trusted family or friends to manage home, finances, transportation, and more. Additionally, medications that are indicated for treating dementia, such as Namenda (memantine), may be prescribed, but the benefits are not established for alcoholic dementia.

  • As was demonstrated in the previous section, alcoholics may not benefit from certain aspects of treatment because of their cognitive deficits.
  • Dementia is an umbrella term for a variety of conditions that affect a person’s processing skills and memory.
  • Eating well-balanced meals can also help manage any cravings to drink that you experience.
  • Abstinence also can help reverse negative effects on thinking skills, including problem­ solving, memory, and attention.
  • Once a person stops using alcohol, they can often experience recovery from symptoms, though in some cases, some damage may be permanent.
  • Recovery may not progress at a steady pace, so it is best to measure performance on more than two occasions.

Alcoholics practice cognitive rehearsal tasks to improve their cognitive functioning. It is possible that even subtle cognitive deficits could affect how alcoholics seek and participate in treatment and resume normal lives in the weeks and months after they stop drinking. Three examples of different types of deficits and their impact on elements of treatment are presented below. On the other hand, some researchers have reported the relationship between cognitive deficits and treatment success to be modest at best or even inverse.

Contact Vertava Health Today

If you or a loved one frequently engage in binge drinking or have an addiction to alcohol, talk to your healthcare provider or call the SAMHSA National Helpline. A large-scale study that followed participants for 27 years found moderate alcohol consumption — defined as one to two drinks a few days a week — didn’t have an increased risk of dementia. It’s important to note that most researchers and healthcare providers have found that alcohol consumed in moderation — one to two drinks for men and one for women — doesn’t typically affect memory. You can avoid short-term memory loss by removing alcohol from the equation.

Alcoholics with more years of heavy or problem drinking are not more likely to have more lasting impairment than are those with fewer years. This finding is counterintuitive, and the reasons for it are not entirely clear. The brains of people with shorter drinking histories may be more http://www.netzoom.ru/view/1329.html resilient physically or may better carry out neurophysiological adjustments. Or, up to a certain number of drinking years, alcoholics may be able to learn to compensate for underlying neurological damage to produce unimpaired behavior (e.g., by performing a task a different way).

How does drinking damage the body?

Experts recommend that screeners check anyone with memory loss for alcohol use. However, Doctors use a thorough social history, the findings from the physical and neurologic exams, and the presentation http://www.roinfo.ru/archive/index.php/t-27958-p-2.html of symptoms to diagnose the condition. Depending on your symptoms, you might also undergo a brain scan to rule out other concerns, like a stroke or tumor, or brain bleeding caused by physical trauma.

Quality of life and life expectancy vary significantly from person to person. Talk to a doctor to address your symptoms and learn how you can manage and, in some cases, even reverse signs of your illness. Anyone can forget things from time to time, however, people who consume heavy amounts of alcohol have a tendency to make more memory mistakes than those who do not drink at all or those who do not drink on a regular basis. These mistakes can include recalling whether they had completed a task, such as locking the car or switching off the stove or forgetting where they put things. Prospective memory is day-to-day brain function, specifically, remembering to complete daily activities. If a person uses it heavily long-term, they’re at risk for a number of memory-related health conditions.

Does Cognitive Status Affect Treatment Outcome?

It’s hard to know what to say to a loved one when you’re worried that their drinking is affecting their health. If you aren’t sure where to begin, consider talking to their https://italycarsrental.com/bodywork-polishing.html healthcare provider or use the resources listed below. Some people experience what doctors call a blackout when they drink too much alcohol and don’t remember key details.

Men and women who consume more than 4 standard drinks on any single occasion are at risk. Mixing alcohol and other drugs – either illegal drugs or some prescription drugs – can cause serious health problems. Alcohol researchers do not know whether cognitive impairments impede alcoholism treatment. Can a cognitively impaired alcoholic readily absorb all the information that is usually imparted during treatment? Do these deficits make the necessary adjustments and adaptations to a “dry” (i.e., nondrinking) way of life more difficult? If so, can anything be done to help the alcoholic recover from these deficits?