Convegno Nazionale sul Suicidio negli operatori di Polizia
Il 16 giugno scorso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha apprezzabilmente organizzato presso la Scuola Superiore di Polizia il Convegno da tempo atteso su: “Suicidio e Law Enforcement”, che ha visto la partecipazione di illustri cattedratici e ricercatori di Sapienza Università di Roma, oltre a funzionari medici e psicologici del Servizio Sanitario della Polizia di Stato.Tra gli invitati al Convegno vi era anche una delegazione di AIGESFOS.
L’evento ha permesso di affrontare in generale la tematica del suicidio nelle Forze dell’Ordine, ed in particolare di illustrare ampiamente l’andamento statistico e le caratteristiche del fenomeno nell’ambito della Polizia di Stato, oltre alle strategie di prevenzione già in atto e da implementare nello specifico contesto del Law Enforcement.
Il Convegno ha preso le mosse dall’accorata testimonianza-appello della sorella di un Ispettore della Polizia di Stato suicidatosi due anni fa, il cui testo viene riportato qui di seguito, in quanto idealmente contiene le linee programmatiche che provengono dal cuore dei superstiti di un dramma così sconvolgente, per poter sviluppare una maggiore consapevolezza su questa problematica, sulla possibilità concreta della sua prevenzione attraverso il coinvolgimento autentico di tutti gli attori: Amministrazioni, dirigenti, personale sanitario, rappresentanze degli operatori, ma soprattutto i colleghi che rappresentano le più immediate ed attente sentinelle del disagio di un loro pari, senza il cui apporto fondamentale difficilmente si faranno passi in avanti “per arrivare prima che sia troppo tardi”.
Testo integrale della testimonianza di G. D.
Buongiorno a tutti.
Prima di tutto voglio ringraziare il Capo della Polizia per avermi invitato. Sono la sorella dell’Ispettore Capo D. D., suicida all’interno del Comando della Polizia Stradale dove era in servizio.
Oggi, in questo convegno, mi sento di rappresentare la voce dei sopravvissuti, la voce di tutti coloro che sono costretti o si sentono costretti a restare nel silenzio del proprio dolore. Io sono qui per squarciare il velo, per rompere quel muro dove si celano i pregiudizi, le paure, i sensi di colpa.
Adesso vi presento D., mio fratello maggiore: la sua missione è stata la prevenzione stradale nelle scuole e la difesa personale nelle palestre incentrata sul rispetto di se stessi e della vita. D. rappresenta il volto umano e amico della Polizia, il poliziotto dell’Esserci Sempre.
Ecco D.: 48 anni, un uomo gentile e sensibile, un padre come tanti con la passione per la buona musica.
È entrato in Polizia a 18 anni e ha messo tante volte a repentaglio la sua vita sulla strada per aiutare e salvare quella degli altri.
Aveva altri progetti nella sua vita, primo fra tutti crescere i suoi figli e i suoi piccoli alunni nelle scuole.
Ecco D. non è più un numero di statistica. D. ha deciso di premere il grilletto quando ha capito di essere solo, quando da solo nella sua “grotta”, come egli stesso descrive nella sua ultima lettera il suo ufficio, ha capito di non servire a niente, di non valere niente e che quindi sarebbe stato un peso per chi gli stava accanto.
Tutte le sue aspettative sono state disattese, credeva di poter cambiare le cose, invece, il lavoro ha cambiato lui.
È un poliziotto e come poliziotto deve tenere tutto dentro, senza esternare emozioni, come un supereroe.
“Non è presente a se stesso” gli veniva continuamente ripetuto. Non voglio dare colpe a nessuno, di certo però, anche chi denigra i sottoposti va aiutato e formato nel giusto modo per evitare di sbagliare ancora.
Quella mattina cercavano mio fratello da ore. L’ultima volta che era stato visto, si trovava a lavoro, stava male e piangeva. Aveva dato un appuntamento a un amico e al cognato, ma non si era fatto trovare.
Quando arrivai in caserma, mi guardai intorno e notai che c’era troppa confusione. Il mondo in un secondo cominciò a girarmi intorno. Mi sedetti su un muretto all’ingresso con una sensazione d’incredulità. Avevo capito. Il legame tra fratelli può essere molto forte. Si avvicinò qualcuno: “Lei chi è?” Io risposi soltanto “Dov’è mio fratello?” Alzai lo sguardo e incontrai quello che temevo: occhi che dicevano tutto quello che non avrei mai voluto sentire. Mi alzai, ma caddi sul marciapiedi. Non capii più niente, solo mani e braccia che mi afferravano. Volevo morire con lui in quel momento, per non sentire quel dolore dilaniante. Nessun aiuto, solo un’ambulanza, invocata da me perché quello che chiedevo era una medicina per stordirmi e non pensare più che mio fratello si era tolto la vita. Sull’ambulanza non c’era il medico, così non mi poterono aiutare. Mi chiesero di andare in ospedale, ma io non volli. Sapevo di dover esserci per affrontare un altro capitolo: i suoi figli.
Mi portano nell’ufficio di mio fratello tra le sue cose, carte, fascicoli. E’ qui che ha scritto la sua ultima lettera spiegando il suo malessere, qui in un ufficio dove i colleghi stavano vivendo la solita routine lavorativa giornaliera. Nessuno si è accorto di nulla. Videro che scriveva, questo sì. Però che stranezza oggi scrivere a lungo a penna quando ormai il mezzo più usato è il computer. Davvero strano, eppure ognuno ha continuato quello che stava facendo. Certo non potevano mai immaginare il triste epilogo.
Certamente non avrei dovuto sapere con queste modalità che mio fratello si era tolto la vita.
Certamente sarebbe stato il caso che a ricevere e a informare i parenti dell’accaduto, fosse stata una persona più preparata.
E’ stato proprio in quel momento, davanti alla caserma della Polizia Stradale che ho sentito tutto il peso, il dolore e la solitudine di mio fratello.
Lui era stato lasciato da solo, anch’io ero da sola di fronte alla sua morte.
Il dolore causato dall’estremo gesto di mio fratello è intenso, insidioso e pervasivo, tanto da avere ripercussioni violente nella mia vita.
Mio fratello non è morto per cause naturali o per un incidente, così sento sulla mia fronte come impresso lo stigma del suicidio.
Il suicidio crea stupore e imbarazzo tra la gente, quindi niente condoglianze per me, niente consolazione e supporto.
Si finge che non sia successo nulla e si tengono alla larga da noi sopravvissuti come trattassero una malattia infettiva.
E quante differenze tra i caduti: tutti uniti dalla divisa da vivi e diversi dopo la morte. Alcuni scompaiono quasi non fossero mai esistiti. A separarli i volti diversi del destino: alcuni eroi, altri taciuti, quasi fossero una vergogna da nascondere. Nelle ricorrenze vengono onorati solo i caduti in servizio e nelle vie, nelle piazze leggiamo i loro nomi mentre i poliziotti suicidi vengono nascosti per vergogna così come i loro parenti, dimenticati e abbandonati a loro stessi nella loro angoscia a vita.
Certo non sono eroi, certo non verranno ricordati come tali – e forse veramente non lo sono stati – ma meritano pari dignità e rispetto.
Non si sceglie liberamente di morire né come morire, anche se si tratta di suicidio e i poliziotti sono poliziotti sempre, almeno fino a quando onorano il loro giuramento di fedeltà.
La notte mi sveglio ancora di soprassalto pensando che no, non può essere vero. Un brutto sogno? No, è successo davvero. Mio fratello non c’è più, non c’è più… Me lo ripeto cercando di convincermi che è così e che, soprattutto, è stato lui a volerlo. Vi prego non ditemi che era pazzo o era un debole. Io sono fiera di mio fratello dall’inizio alla fine. Lui è il mio esempio di giustizia, la mia roccia, il mio fratellone.
Nulla potrà restituirmelo, ma per questa eredità di dolore che lui mi ha lasciata, non posso non pensare che tanti altri colleghi potrebbero vivere situazioni altrettanto difficili di quelle vissute da mio fratello.
Non posso non pensare che esistano poliziotti che avrebbero bisogno di aiuto.
Facciamo subito qualcosa, salviamoli, non arriviamo troppo tardi come è successo con D.
Voglio concludere con la stessa frase che usava mio fratello al termine di ogni lezione:”Tutti i problemi si possono risolvere.Basta parlarne”.
Cerchiamo, anche per i poliziotti, di “Esserci Sempre”.
Grazie per avermi ascoltato.
G.D.