Category: Rischio Suicidio

Categoria: Rischio Suicidio

Il primo libro sullo studio e la prevenzione del suicidio nelle ff.oo e del soccorso

Con questo volume l’autore ha inteso richiamare l’attenzione di quanti hanno a cuore il benessere psichico degli operatori di polizia sulla complessa e dolorosa problematica del suicidio in divisa.
Il volume rappresenta la prima opera organica che appare nel nostro Paese con l’obiettivo di affrontare a viso aperto ma pacatamente una tematica che per vari motivi assume – quando riguarda personale delle Forze di Polizia – risonanze sui generis tali da ostacolare di fatto un approccio piano e razionale al fenomeno con finalità di studio  e prevenzione.
Il testo scritto con passione, equilibrio e rigore scientifico da chi – vestendo ancora i gradi – vive e lavora da molti anni gomito a gomito con i poliziotti, è stato arricchito dal resoconto – sobrio ma al contempo  illuminante – di diversi percorsi suicidari battuti da uomini e donne in divisa.
Il tema è stato trattato utilizzando due registri e stili espositivi: quello scientifico, indispensabile per affrontare lucidamente ed equilibratamente un fenomeno così complesso, e non correre il rischio di cadere nel pressappochismo o nel riduzionismo manicheo, e quello narrativo-divulgativo, essenziale per attivare il “motore” emozionale di quanti – dentro e fuori le Forze di Polizia – nutrono interesse, sensibilità o curiosità per l’argomento.
L’opera risulta organizzata in tre parti, precedute dalla Prefazione del Prof. Roberto Tatarelli – già Professore Ordinario di Psichiatria, Direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria presso Sapienza Università di Roma e Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale S.Andrea di Roma, dalla Presentazione della Professoressa Anna Maria Giannini – Professore Ordinario di Psicologia e Direttore del Master in Psicologia Giuridica e Forense presso Sapienza Università di Roma, dai Ringraziamenti dell’autore agli illustri accademici che hanno rappresentato il punto di riferimento scientifico ed ispirato l’architettura dell’opera, oltre che  ai valenti colleghi medici e psicologi con cui ha condiviso negli anni passati il suo impegno professionale, e dall’Introduzione che illustra il percorso genetico dell’opera.
La prima parte dal titolo: Il suicidio nello specifico ambito delle Forze di Polizia – che si apre con il Pathos in cui l’autore declina il vissuto emozionale che ha ispirato e impronta il testo, ed un Prologo: Ci vediamo nell’aria… che vede il resoconto del primo omicidio-suicidio ad opera di una donna poliziotto che trascina nell’abisso della morte anche la vita che ha generato – si compone di sei capitoli.
Il Capitolo I – Essere un poliziotto aumenta il rischio di suicidio? affronta la domanda che, a torto o ragione, viene posta in modo più ricorrente rispetto al suicidio in divisa, attraverso la disamina delle tesi a favore e sfavore circa la maggiore frequenza del fenomeno nelle Forze di Polizia. Dopo aver focalizzato alcuni aspetti di assoluta rilevanza nell’approccio metodologico al problema, vengono esaminati gli studi effettuati in Nord-America ed in Europa rinvenibili nella letteratura scientifica, e presentati i pochi dati ufficiali italiani relativi alle tre maggiori Forze di Polizia a competenza generale.
Il Capitolo II – Le teorie sul suicidio nelle Forze di Polizia illustra le teorie che vari autori, ad iniziare da Sigmund Freud, hanno proposto per individuare le dinamiche motivazionali peculiari del suicidio in divisa, ed in particolare viene esposta l’ipotesi interpretativa avanzata da John M. Violanti, uno studioso statunitense che si è particolarmente dedicato allo studio di questo fenomeno.
Il Capitolo III – L’autopsia psicologica presenta la struttura concettuale di questa metodologia attraverso l’evoluzione storica che la procedura ha avuto a partire dall’opera del suo iniziatore: Edwin S. Shneidman. Viene inoltre esposto il modello specificamente adottato dalla Polizia di Stato per realizzare la ricerca riportata nel capitolo successivo.
Il Capitolo IV – Una ricerca effettuata nelle Forze di Polizia con lo strumento dell’autopsia psicologica illustra sinteticamente i risultati di una ricerca realizzata con questa metodologia relativamente ai suicidi occorsi nella Polizia di Stato nel triennio 2003-2005, già presentata in un Seminario tenutosi a Roma nel Novembre 2008 presso la Scuola Superiore di Polizia.
Il Capitolo V – Un esempio di autopsia psicologica riporta in modo assolutamente anonimo il resoconto di un’autopsia psicologica effettuata nell’ambito della precedente ricerca per evidenziare le sue potenzialità nella focalizzazione della dinamica suicidaria.
Il Capitolo VI – Traiettorie suicidarie di uomini e donne in divisa presenta sette storie suicidarie emblematiche di operatori di polizia, anche se non esaustive, dei molteplici percorsi che possono esitare nella scelta autosoppressiva, proteggendo rispettosamente la riservatezza dei loro protagonisti e dei terzi coinvolti, con lo scopo propedeutico di disporre il lettore ad una più profonda comprensione di aspetti del fenomeno suicidario trattati in capitoli successivi.
La seconda parte dal titolo: Il suicidio nei suoi aspetti generali, che inscrive e declina il fenomeno nel più vasto ambito sociale e culturale generale,  si articola in sei capitoli.
Il Capitolo VII – Definire il suicidio illustra lo sviluppo del termine, la sua progressiva caratterizzazione concettuale nel tempo e le domande  – per cui ancora non sono state codificate risposte esaurienti – circa i limiti e l’estensione da attribuirgli.
Il Capitolo VIII – Epidemiologia del suicidio si propone di fornire un quadro dimensionale del fenomeno sia sotto il profilo dell’epidemiologia descrittiva che nella prospettiva dell’epidemiologia costruttiva. In particolare viene esaminata la situazione italiana analizzandola anche sul versante della distribuzione socio-geografica del fenomeno.
Il Capitolo IX – Comprendere il suicidio prospetta la differenza sostanziale dell’approccio “comprensivo” rispetto a quello “esplicativo”, sulla falsariga del pensiero di Karl Jaspers, focalizzandosi sul concetto di “psichache”, il tormento della psiche, proposto da Shneidman, oltre che di “hopelessness”, l’assenza di aspettative positive per il futuro, e “helplessness”, la sconsolante certezza di non poter ricevere aiuto da nessuno, sottolineati da A. Beck.
Il Capitolo X – Il percorso suicidario illustra l’escalation della spinta autosoppressiva attraverso i quattro momenti della fantasia suicidaria, dell’ideazione suicidaria, del progetto suicidario e della condotta suicidaria.
Il Capitolo XI – Spiegare il suicidio affronta il tema impegnativo delle chiavi di lettura del gesto suicidario: i paradigmi medico-psichiatrico, psicologico e sociologico, ed inoltre propone i dati derivanti dalle ricerche neurobiologiche e genetiche.
Il Capitolo XII – I fattori di rischio suicidario presenta le più importanti proposte classificatorie relative ai numerosi fattori che, embricandosi fra loro, giocano un ruolo rilevante nel determinare il soggetto alla condotta suicidaria.
La terza parte, dal titolo La prevenzione del suicidio nelle Forze di Polizia, rappresenta il cuore pulsante e propositivo del testo in quanto si proietta concretamente sulle prospettive della prevenzione primaria, secondaria e terziaria nello specifico contesto umano a cui l’opera si rivolge. A tal fine è stata arricchita di numerosi spunti “formativi” che più direttamente, insieme a quelli diffusamente disseminati nel testo, hanno l’ambizione di poter essere utilizzati da parte di professionalità adeguate come strumenti per veicolare in tutti i luoghi e momenti opportuni la progressiva attenzione ed introduzione all’argomento. Si compone di tredici capitoli, e di un Epilogo: Un giorno perfetto , in cui viene proposta la vera storia della “rinascita” di una survivor – una poliziotta a cui l’ex marito ha ucciso le due figlie prima di suicidarsi –  la cui intestazione richiama l’omonimo romanzo di Melania Mazzucco, trasposto poi in film da Ferzan Ozpeteck con lo stesso titolo, in cui viene narrata la vicenda assolutamente sovrapponibile di un poliziotto che si suicida dopo aver ucciso i due figli.
Il capitolo XIII – La prevenzione primaria definisce i confini concettuali che la caratterizzano, ed i limiti operativi che le sono propri, sottolineando peraltro l’importanza del periodo della formazione di base come momento strategico per affrontare  con i poliziotti in pectore il delicato argomento. Viene proposta, fra le altre figure professionali idonee ad affrontare i temi coinvolti, quella del “pari” e viene presentata a scopo esemplificativo la narrazione autografa dell’esperienza di servizio di uno di essi per illustrarne le potenzialità in contesti “educativi”.
Il Capitolo XIV – La formazione per sviluppare resilienza: cosa e come comunicare propone la definizione di questo termine, oltre che alcune riflessioni e spunti circa lo sviluppo di una strategia per potenziarne lo sviluppo in ambito formativo. Viene inoltre presentato il testo della lettera aperta indirizzata nel 2006 dall’allora Comandante Generale della Guardia di Finanza a tutti i finanzieri in cui si proponevano riflessioni e tracciavano linee di indirizzo per la prevenzione del suicidio nello specifico contesto.
Il Capitolo XV – Miti e realtà sul suicidio e dintorni presenta alcune convinzioni errate, diffuse sia nella società in generale che nello specifico contesto delle Forze di Polizia, che risulta essenziale correggere al fine di impedire il perpetuarsi di false credenze che, di fatto, ostacolano la possibilità di prevenzione del suicidio.
Il Capitolo XVI – Riconoscere i segnali di allarme propone un elenco certamente non esaustivo ma significativo di segnali verbali e comportamentali che possono far intuire i propositi anticonservativi del collega che sta progettando il suicidio.
Il Capitolo XVII – La prevenzione secondaria puntualizza il significato del termine traducendolo nello specifico contesto, proponendo contemporaneamente strategie ad hoc da adottare per gli operatori a rischio. Tra questi vengono individuati i soggetti con precedenti patologie psichiatriche rientrati in servizio, coloro che hanno subito eventi professionali a carattere psicotraumatico, i soggetti in preda ad una crisi emozionale, e si prospetta l’attivazione di una help-line dedicata per coloro che si trovassero a vivere un malessere che rischia di trasformarsi in uno scompenso comportamentale.
Il Capitolo XVIII – Eventi critici e stress traumatico nelle Forze di Polizia introduce il lettore nel complesso ambito degli effetti psichici causati dagli eventi critici di servizio, e per sottolinearne le gravi potenzialità patogene viene presentato un raro caso di suicidio post-traumatico messo in atto nel 1984 da un operatore di polizia alcune ore dopo aver prestato lungamente soccorso nel contesto di una strage di matrice terroristica.
Il Capitolo XIX – La sindrome del burnout nelle Forze di Polizia illustra gli elementi sintomatologici costitutivi di questo quadro conseguente a stress cronico, ne prospetta le ipotesi genetiche riferite allo specifico contesto e presenta a titolo esemplificativo il testo di un messaggio di suicidio anticipato scritto da un giovane operatore di polizia profondamente deluso dalla propria esperienza professionale.
Il Capitolo XX – La crisi emozionale definisce il significato da attribuire al termine e le sue potenzialità evolutive in ambito psico-comportamentale, presentando, attraverso lo scambio di sms occorso in limine mortis, il caso di un evento suicidario relativo ad un giovane poliziotto che si toglie la vita al culmine di una tempesta emotiva conseguente ad un evento oggettivamente non grave, ma vissuto con un profondo senso di vergogna e timore per le sue conseguenze giuridiche.
Il Capitolo XXI – La prevenzione terziaria si occupa di definire le sue limitate ma tangibili prospettive nello specifico contesto, introducendo il tema del lutto conseguente agli eventi suicidari e le prospettive di interventi volti a contenerne gli effetti.
Il Capitolo XXII – I sopravvissuti del suicidio affronta in modo sistematico la problematica dei survivor, includendo nel termine non solo i familiari e gli amici del defunto, ma anche la più stretta cerchia dei colleghi, i sanitari ed i diretti superiori,  ed illustrando gli effetti che si determinano in questi soggetti oltre che nell’ambiente lavorativo. Viene posto il problema della supervisione di stretti familiari del soggetto che si è tolto la vita eventualmente presenti nella stessa o in altre Forze di Polizia, anche alla luce dei risultati degli studi genetici sul suicidio. Viene presentato il testo di una riflessione di un survivor in divisa in seguito al suicidio di un collega per  evidenziare aspetti tipici del vissuto degli operatori di polizia rispetto a questa tipologia di eventi.
Il Capitolo XXIII – La figura del pari nelle Forze di Polizia è dedicato alla presentazione di questa figura introdotta da un decennio nel nostro Paese dalla Polizia di Stato sulla falsariga delle esperienze di altre Polizie occidentali, tracciando la storia del progetto formativo e della sua applicazione sul campo, oltre che delle potenzialità e dei confini operativi nell’ambito del supporto a colleghi in grave difficoltà emotiva. Per meglio comprendere il ruolo esercitato in contesti di natura psicotraumatica viene presentato il resoconto del primo intervento storicamente effettuato da un team di supporto integrato dalla figura del pari, a seguito di un evento di servizio occorso nel 2003.
Il Capitolo XXIV – Breviario di automutuoaiuto si propone di presentare le domande più sensibili che ruotano intorno la tematica del suicidio negli ambienti delle Forze di Polizia, offrendo delle risposte dirette e volte a fornire elementi concreti su cui indirizzare il proprio comportamento a sostegno di colleghi in difficoltà con cui si venga a contatto, sottolineando il concetto della autentica solidarietà come essenziale risorsa di rete per affrontare lo specifico fenomeno.
Il Capitolo XXV – La ricerca sul suicidio nelle Forze di Polizia evidenzia l’assoluta necessità di raccogliere sistematicamente i dati approfonditi relativi ai casi suicidari occorsi nelle varie Forze di Polizia, costituendo un Osservatorio Nazionale sul fenomeno presso il Ministero dell’Interno, traccia alcune linee guida su cui la ricerca dovrebbe indirizzarsi per rispondere a domande cruciali ai fini della prevenzione, prospetta specifiche modalità di raccolta delle informazioni, ed auspica l’iniziativa di un primo convegno nazionale sul fenomeno.
Le Conclusioni risultano il capitolo del testo più difficile da affrontare e dove l’autore cerca di proporre lucidamente alcune riflessioni cardine sul fenomeno alla luce degli studi sull’argomento e della sua specifica esperienza nel settore. Innanzitutto torna sulla querelle circa il maggiore o minore tasso suicidario negli operatori di polizia rispetto alla popolazione generale omologabile, e pur concludendo per l’impossibilità attuale di una risposta definitiva riflette sul fatto che gli operatori di polizia devono essere considerati una popolazione di lavoratori sana e selezionata, per cui tassi identici o solo relativamente inferiori rispetto alla popolazione generale omologabile dovrebbero essere considerati di fatto “tassi relativi maggiori”. Alla luce di questa considerazione propone tre elementi costitutivi della professione di poliziotto in grado di giustificare il riscontro di un plus: la disponibilità continuativa di un’arma da fuoco, il maggior rischio di subire anche a distanza di tempo gli effetti di eventi psicotraumatici e del logoramento da burnout, gli stili di gestione dello stress tipici degli operatori di polizia che spesso si rivelano inadatti ad affrontare le tempeste emozionali che le sfide della vita affettivo-relazionale propongono, sostanzialmente in linea con l’ipotesi proposta da Violanti. Viene sottolineata inoltre la non trascurabile proporzione di agiti che si declinano come suicidio-omicidio e si connotano in alcuni casi anche per la possibilità che le Istituzioni, a causa dell’operato giudicato colposo di loro appartenenti, vengano chiamate a rispondere giuridicamente di quanto avvenuto. Viene inoltre sfatato il mito dell’assoluta pervasività della matrice psichiatrica alla base del fenomeno, alla luce di considerazioni di natura teorica oltre che delle caratteristiche di questa popolazione che, come detto, si distingue in generale come sana e selezionata. Nella prospettiva della maggiore prevenzione possibile del fenomeno, il testo si chiude con il forte richiamo alla responsabilità di tutti gli attori che  interagiscono nel complesso “universo polizia”: le Istituzioni a cui i loro appartenenti fanno capo, le Organizzazioni Sindacali o assimilate che li rappresentano, le Famiglie in cui vivono, i Superiori, Colleghi e Collaboratori con cui quotidianamente lavorano, i Cappellani a cui è affidata la loro assistenza spirituale, i Medici e gli Psicologi più direttamente preposti a preservare la loro salute.

 

Felix B. Lecce, presidente di AIGESFOS-APS

Il suicidio nelle forze di polizia: come prevenire

I recenti e gravi atti suicidari registrati nelle Forze di Polizia Italiane, che in alcuni casi hanno coinvolto tragicamente anche la vita di terzi, ci spingono a fare una riflessione lucida ed equilibrata su un fenomeno così doloroso, cercando di affrontarlo in una prospettiva concreta
rivolta ad individuare gli strumenti di una possibile prevenzione, anziché ricorrere alla posticcia ricerca di capri espiatori. Innanzitutto proviamo ad avvicinarci alla realtà psicologica e sociale del fenomeno, ponendoci delle domande e cercando di dare in primis a noi stessi risposte autentiche.
L’interrogativo sulle ragioni del comportamento attraverso cui un individuo giunge a togliersi volontariamente la vita, trascinando non raramente altri nella spirale della propria morte,  è stato e rimane uno dei più grandi enigmi e delle più stimolanti sfide sia per coloro che si occupano di scienze biologiche, che per quanti si interessano di scienze umane.
La gente comune si chiede più semplicemente che cosa possa rendere l’individuo incapace di tenere sotto controllo quella che viene considerata la scelta più irrazionale che la mente umana possa decidere di compiere: sopprimere sé stessi, darsi la morte, rinunciare volontariamente al bene per eccellenza, la vita. L’estrema difficoltà che la maggior parte delle persone ha di pensare e confrontarsi con una realtà così difficile da accettare, ma al contempo assolutamente banale: la possibilità che ciascuno di noi ha di rinunciare volontariamente alla vita, è esemplificata dai numerosi eufemismi e sinonimi con cui viene appellato il suicidio.
Per la maggior  parte  delle persone, anche quando vivere non è più bello(semmai lo sia stato), è imperativo esistere ad ogni costo, accontentandosi magari di sopravvivere tra le sventure piccole e grandi che qualunque vita comporta, vuoi perché considerata virtù tipicamente umana o, forse più spesso, in quanto scelta obbligata a ragione di quella atavica angoscia che ci difende e ci fa arretrare di fronte all’ignoto, ad un aldilà ancora completamente inesplorato. Questo timore del luogo dal quale nessuno ritorna, che ha impedito a molti di noi di scegliere la morte – a causa del dolore della malattia, dell’ingiustizia della legge umana, della rabbia impotente di fronte al persecutore di turno, del rifiuto o del tradimento di chi amiamo, della colpa per ciò che non doveva essere fatto, della vergogna di fronte al pubblico ludibrio – facendoci restare aldiquà, può essere non infrequentemente superato, ed oltrepassato ad un punto tale che il deserto dell’esistere giunge a sovrastare la paura dell’ignoto, ed a farne varcare volontariamente la soglia.
Nessuno conosce così bene la concretezza di questa realtà quanto gli psichiatri, gli altri professionisti della salute mentale, il personale sanitario del soccorso pubblico e gli operatori delle Forze di Polizia. I medici tendono spesso ad evitare l’idea e l’esperienza emotiva  della morte pur essendo quest’ultima l’evento più certo e naturale dell’esistenza, ma anche il più prossimo alla loro professione. Una ragione di ciò si può trovare nei più profondi luoghi della scelta professionale dove spesso si annidano timori tanatofobici e nosofobici, con i relativi bisogni di onnipotenza e di proiezione sugli altri del male – malattia. Psichiatri e psicologi, specialmente quelli che lavorano con i pazienti più gravi, sono costretti quotidianamente a vivere con il fantasma della potenzialità suicidaria di chi hanno in cura e, spesso, si rispecchiano pericolosamente in quegli abissi di estrema sofferenza.
Ma anche le ragioni della scelta professionale dell’operatore di polizia possono essere complesse, ed a volte difficilmente permeabili all’esterno oltre che da egli stesso traducibili. La sete di individuazione e di superiorità; l’illusione di poter controllare la realtà, compresa quella intrapersonale; il bisogno di separare nettamente il bene dal male perpetrabile dall’uomo, per porre il negativo fuori da sé; il sogno di viversi come paladini della vita e del benessere altrui – interpretando una mitologia eroica  che  al passo dei tempi si aggiorna nelle sembianze pur rimanendo immutato il bisogno di alterità che la sottende –  possono trovare appagamento e realizzazione attraverso il ruolo di difensore della Legge: tutto questo appare estremamente rassicurante, oltre che affascinante.
Questo soggetto che deve fornire agli altri sicurezza non può, per definizione, che essere estremamente sicuro di sé, e cosa c’è di maggiormente ansiogeno dell’essere umano che attenta alla propria vita? Ansiogeno certamente per la gente comune, ma ancora di più per i suoi più diretti simili quando si tratta di operatori di polizia, perché ne fa vacillare il sentimento più o meno autentico, ma  indispensabile, di sicurezza.
E le stesse Istituzioni di cui essi sono parte tremano perché all’interno del mito, certamente in affanno ma mai messo in discussione, di essere una “famiglia”, sentono più o meno confusamente il dovere di proteggere i propri figli prima di quelli degli altri – non fosse altro per il fatto che i primi dovrebbero tutelare i secondi – e di fronte al suicidio di uno di loro si confrontano con il senso di colpa e di vergogna per non essere riusciti ad adempiere al loro primo mandato.
Noi riteniamo che questi ultimi sentimenti rappresentino l’elemento fondamentale che fino ad oggi ha determinato nel nostro Paese quella sorta di ritroso pudore rispetto all’argomento suicidio nelle Forze di Polizia che si registra al loro interno.
E poi, come succede in qualsiasi famiglia quando un figlio esce dal “seminato”, ci si interroga se sia il caso di parlarne  – visto che le altre non esternano simili difficoltà – e si rimane nel dubbio se ciò sia dovuto alla buona salute dei loro membri, o alla difficoltà ad ammetterne il malessere.
Ma con la Società intera che in questi ultimi anni è cambiata, e dove sono mutate le stesse fondamenta delle Istituzioni che si confrontano con cittadini ormai divenuti maggiorenni, non può non trasformarsi anche il rapporto tra le Forze di Polizia ed i loro “appartenenti”. Essi devono essere considerati e considerarsi non più figli minorenni per i quali il genitore assume di sé ogni incombenza, ma prole adulta e responsabile – innanzitutto di sé stessa – su cui semmai esercitare una matura supervisione.
Se entriamo in questo nuovo paradigma, anche le nebbie del senso di colpa irrazionale tenderanno a dileguarsi permettendo di guardare una realtà su cui tentare di agire concretamente, senza la semplicistica illusione di poterla dominare e la successiva, inevitabile, delusione del fallimento.
Pertanto riteniamo necessario muoversi in tale direzione, senza l’enfasi delle emozioni momentanee ed il clamore, ancor più effimero, di tanti notiziari che accompagnano i funerali degli operatori di polizia suicidi e, meno che mai, dell’assordante rumore del silenzio.
Il primo passo per individuare migliori strategie di prevenzione del suicidio nelle Forze di Polizia non può che essere quello di abbattere lo stigma che circonda il fenomeno, iniziando a percorrere le seguenti tappe:
1) Costituzione di un Osservatorio Nazionale presso il Ministero dell’Interno a cui debbono affluire tutti i dati relativi ai suicidi ed a i tentati suicidi occorsi nelle Forze di Polizia a competenza territoriale sia generale che locale;
2) Organizzazione di un Convegno Nazionale sul suicidio nelle Forze di Polizia riservato agli addetti ai lavori, al fine di predisporre un algoritmo unico per la rilevazione di tali eventi, in modo da raccogliere dati omologabili, tali da risultare idonei a sviluppare concrete strategie preventive, oltre che permettere la definizione di un primo quadro complessivo del fenomeno;
3) Previsione, nella formazione di base di tutti gli operatori di Polizia, di un modulo specificamente indirizzato all’informazione sul fenomeno; alla sensibilizzazione circa i segnali di sofferenza mentale, potenzialmente sintomatici di una progettualità autolesiva; alla demitizzazione circa l’ineluttabilità della riforma dal servizio per coloro che evidenziassero problematiche della sfera psichica, stimolando un rapporto collaborativo e reciprocamente fiducioso fra il personale e le figure professionali presenti nelle singole istituzioni di appartenenza deputate alla tutela della salute degli operatori;
4) Promozione di iniziative istituzionali ed extra-istituzionali volte a destigmatizzare il disagio ed il disturbo mentale nelle Forze di Polizia, attraverso la presa di consapevolezza della potenziale vulnerabilità di ciascuno di noi di fronte alla sofferenza psichica, delle ottime prospettive di cura e di recupero per la gran parte delle patologie mentali, la evoluzione culturale e delle prassi operative di competenza dei Sanitari delle Forze di Polizia, l’attivazione di progetti di automutuoaiuto dedicati.

Luigi Lucchetti, Presidente AIGESFOS e Felix B. Lecce, Vice presidente AIGESFOS